Che cos’è un algoritmo? La definizione più semplice che si possa trovare è “una sequenza ordinata e finita di passi (operazioni o istruzioni) elementari che conduce a un ben determinato risultato in un tempo finito”. Si tratta, per quello di cui vogliamo occuparci in questo articolo, di un processo attraverso cui una macchina può risolvere un problema e quindi eseguire un compito. E’ un algoritmo quello tramite cui Google sceglie cosa farci vedere e in che ordine quando cerchiamo qualcosa sul suo motore di ricerca; è un algoritmo quello che sceglie cosa farci vedere sulla nostra timeline di Facebook o Twitter, è un algoritmo quello che ci consiglia cosa vedere su Netflix, ma non solo: sono algoritmi anche i modelli utilizzati dalle società di rating finanziario o quelli utilizzati dalle case automobilistiche per controllare i livelli di emissione dei loro veicoli.
In un mondo che va sempre più verso l’automazione dei processi, c’è chi propone che siano gli algoritmi a governare anche la pubblica amministrazione, appellandosi alla neutralità (e perciò alla maggior correttezza) di questi strumenti matematici.
Ma quali reali garanzie abbiamo, ad oggi, rispetto a questa supposta neutralità?
Le aziende private, come si può immaginare, sono molto gelose dei loro algoritmi, ma con il crescere del loro potere nel governare il flusso di informazioni in base al quale formiamo le nostre opinioni sui più disparati argomenti, siamo sicuri di poterci basare sulla loro buona fede? Dobbiamo credere loro sulla parola?
In fondo si tratta, in un certo senso, di un problema simile a quello della correttezza e dell’attendibilità delle fonti di informazione: ciascuno di noi considera corretto un atteggiamento critico nei confronti dei mezzi di informazione “tradizionali”, perché dovrebbe essere diverso per gli algoritmi? Si tratta di codici scritti da persone fisiche, commissionati da persone fisiche, sulla base di interessi privati e non neutrali. Perché dovremmo supporre che godano di una neutralità intrinseca?
Sono in molti, non ultimo il responsabile tecnologico dell’Ente per la Protezione Ambientale degli Stati Uniti, a domandare che il governo federale si occupi della regolamentazione degli algoritmi. La stessa Unione Europea ha avviato un’indagine per abuso di posizione dominante da parte di Google, accusata di favorire i suoi prodotti rispetto a quelli concorrenti tramite i suoi algoritmi di ricerca.
Si tratta di una faccenda tanto complessa quanto affascinante, che ha molte implicazioni e che potrebbe rischiare di passare per l’ennesimo desiderio di eccessiva regolamentazione di uno dei pochi settori promettenti e in crescita in questa lunga fase di stagnazione economica, ma anche noi pensiamo che sia giunto il momento che i governi del mondo si interroghino sul sempre più preponderante ruolo che gli algoritmi stanno assumendo nella vita quotidiana di noi cittadini.
Le democrazie moderne si reggono su un sistema di bilanciamento di poteri, quindi è giunto il momento che anche per gli algoritmi ci si domandi: who watches the watchmen?