Auguri Possibili

Sono cresciuto con la perdurante sensazione che mi volessero convincere che l'annichilmento fosse il modo migliore per stare tranquilli: l'inazione come protezione naturale per la serenità nostra, dei nostri figli, della nostra famiglia e delle nostre posizioni.

Il più bel rega­lo del­la mia vita mi è capi­ta­to, non me l’ha por­ta­to nes­su­no. O for­se me l’han­no por­ta­to tut­ti i casi e le per­so­ne del­la vita che mi han­no edu­ca­to all’os­ser­va­zio­ne e alla com­pren­sio­ne. Il più bel rega­lo che mi sia capi­ta­to è sta­to il bul­lo­ne per strin­ge­re la voglia di cam­bia­re: suc­ce­de sen­za avver­ti­men­ti, in un momen­to in cui ti scrol­li di dos­so il cemen­to del­la con­vin­zio­ne che non ci sia­no alter­na­ti­ve e che la por­ta del­l’uf­fi­cio dei cam­bia­men­ti sia chiu­sa a ora­rio con­ti­nua­to, acces­si­bi­le solo a una squa­dra in cui non si può esse­re arruo­la­ti. Quan­do mi è sali­ta la sen­sa­zio­ne di poter par­te­ci­pa­re poi non ho più potu­to far­ne a meno.

Non so se capi­ta anche a voi, ma io sono cre­sciu­to con la per­du­ran­te sen­sa­zio­ne che mi voles­se­ro con­vin­ce­re che l’an­ni­chil­men­to fos­se il modo miglio­re per sta­re tran­quil­li: l’i­na­zio­ne come pro­te­zio­ne natu­ra­le per la sere­ni­tà nostra, dei nostri figli, del­la nostra fami­glia e del­le nostre posi­zio­ni. C’è da dire che i con­ser­va­to­ri sono dav­ve­ro i con­su­len­ti più con­for­te­vo­li che pos­sa­no capi­ta­re e ci si met­te anni a capi­re che quel loro con­ser­va­re non si ridu­ce al man­te­ni­men­to del­lo sta­tus quo ma è soprat­tut­to il costan­te logo­rio nel­lo smus­sa­re le spe­ran­ze: il meno­peg­gi­smo del “non c’è alter­na­ti­va”, una vol­ta ino­cu­la­to, stor­di­sce meglio di un bic­chie­re di buon vino, copre più cal­do del­la lana e scle­ro­tiz­za le voglie. È il bro­mu­ro del­la spe­ran­za che ti con­si­glia di ridur­ne le dimen­sio­ni e così ave­re la sod­di­sfa­zio­ne di aver­la già rag­giun­ta. Il miglior rega­lo del­la mia vita è sta­ta la consapevolezza.

Quan­do da gio­va­nis­si­mo, in un pae­sel­lo a for­ma di buco all’om­bra del­la bar­rie­ra auto­stra­da­le di Mila­no sud, dis­si di vole­re fare tea­tro come mestie­re mi dice­va­no che no, che non era pos­si­bi­le. Quan­do mi capi­tò di esse­re sul pal­co­sce­ni­co con Dario Fo que­gli stes­si bisbi­glia­to­ri che mi ave­va­no irri­so era­no in pri­ma fila a recri­mi­na­re l’a­mi­ci­zia, applau­den­do gau­den­ti come sor­ri­do­no i ter­ro­riz­za­ti. Quan­do pen­sai che il tea­tro, quel tea­tro che por­ta­vo in sce­na, doves­se rac­con­ta­re la mafia che non esi­ste­va tut­ta intor­no mi dis­se­ro che però sta­vo esa­ge­ran­do, che for­se era il caso di accon­ten­tar­si dei pal­chi che mi ero gua­da­gna­to. Anco­ra inten­ti a rac­con­tar­mi che non si deb­ba mica cer­ca­re; che l’im­pe­gno vero con­si­ste nel­l’ac­con­ten­tar­si nel modo miglio­re pos­si­bi­le. Tut­ta una vita rin­cor­so da chi ti dice di fer­mar­ti, poi ti irri­de, poi ti com­bat­te e poi ti raggiunge.

«Pri­ma ti igno­ra­no, poi ti deri­do­no, poi ti com­bat­to­no. Poi vin­ci.» dice­va Gan­d­hi, uno che di pos­si­bi­li­tà se ne inten­de­va. Ecco, io l’au­gu­rio che ci farei, se potes­si lascia­re qual­co­sa sot­to l’al­be­ro, è quel­lo di rima­ne­re vigi­li, appun­ti­ti e luci­di per non far­ci acquie­ta­re. Ci augu­ro di tro­va­re sot­to l’al­be­ro quel bul­lo­ne lì per sbloc­ca­re la sazie­tà di chi abi­ta un Pae­se con la dispe­ra­zio­ne di non poter­ci met­te­re mano. E ci augu­ro di riu­sci­re a rega­la­re poli­ti­ca, che è la cas­set­ta degli attrez­zi miglio­re che si pos­sa ave­re in casa.

Buon Nata­le.

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Ma la gran­de par­te­ci­pa­zio­ne allo scio­pe­ro del 13 dicem­bre dimo­stra che la dimen­sio­ne col­let­ti­va del­la nostra lot­ta, del­le nostre riven­di­ca­zio­ni, non è perduta.