Lo Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI), tra i più autorevoli centri di ricerca sulle spese militari, ha recentemente pubblicato alcuni dati con un obiettivo di ricerca piuttosto chiaro: quali obiettivi si potrebbero raggiungere destinando parte delle spese militari alla spesa sociale? I risultati sono più sorprendenti di quanto ci si possa aspettare.
Ma andiamo con ordine, spiegando prima di cosa parliamo quando parliamo di spese militari.
In primo luogo, la spesa militare a livello globale ammonta a 1.676 miliardi di dollari, pari al 2,3% del PIL mondiale. L’ammontare complessivo è aumentato dell’1% nel 2015:
E’ una cifra molto elevata, ma comunque inferiore alla spesa nel settore sociale, che ammonta al 5,9% del PIL. Ovviamente, ci sono delle fortissime differenze regionali e tra paese e paese. A livello assoluto, a guidare la classifica delle spese militari non potevano che esserci gli Stati Uniti (36% della spesa mondiale), seguiti da Cina (13%), Arabia Saudita (5,2%), Russia (4%), Regno Unito (3,3%). L’Italia se la cava tutto sommato bene, piazzandosi al dodicesimo posto (1,4%).
La spesa militare dell’Italia ammonta a 23,8 miliardi di dollari, pari all’1,3% del PIL.
Se però guardiamo alla quota di bilancio che ciascun paese destina alle spese militari, otteniamo una classifica del tutto diversa:
Le due classifiche spingono ad almeno una riflessione, compiuta anche dai ricercatori del SIPRI. Nel momento in cui si decide di allocare risorse in un determinato settore, si sta scegliendo di sottrarle ad altri settori. In parole povere: se destinassimo una quota delle spese militari alla spesa sociale (sanità, istruzione, lotta alla povertà, eccetera), cosa potremmo ottenere?
Il 10% della spesa militare (167,6 miliardi di dollari) corrisponde a una cifra maggiore di quella stanziata dai membri dell’OECD per la cooperazione allo sviluppo (137,2 miliardi di dollari). Tra i Sustainable Development Goals adottati dalle Nazioni Unite, ad esempio, rientrano la fine della povertà in tutte le sue forme e la fine della fame (SDG 1 e 2), obiettivo che — secondo la FAO — sarebbe raggiungibile entro il 2030 attraverso un investimento addizionale di 265 miliardi di euro: spostare i 10% di spesa militare in investimenti contro la povertà e contro la fame potrebbe essere assolutamente decisivo per raggiungere questo obiettivo.
E se invece facessimo il conto opposto? Quanta parte delle spese militari mondiali servono per finanziare gli obiettivi di sviluppo sostenibile adottati dalle Nazioni Unite? Quote comprese tra il 13% e l’1% finanzierebbero interamente questi obiettivi.
Nei giorni scorsi sono stati pubblicati altri dati, che riguardano l’Italia, e che sono il rovescio della medaglia delle spese militari del nostro Paese, e cioè quante armi vendiamo in giro per il mondo. Si tratta dell’analisi di OPAL Brescia, che riassumo in alcuni flash.
L’export italiano di armi è vivo e lotta insieme a noi, ben instradato in un trend crescente:
La maggior parte dell’export finisce in Unione Europea (37,7%) e America Settentrionale (24,8%). Seguono Asia (14,7%) e paesi del Medio Oriente e Nord Africa (12,2%).
Se guardiamo ai singoli paesi, tra i principali destinatari rientrano paesi che non appartengono ad alleanze politico-militari di cui l’Italia fa parte (in neretto):
Dell’Arabia Saudita abbiamo parlato numerose volte, quindi ci soffermiamo sull’Egitto:
Segnano invece un calo le esportazioni all’Egitto: si passa infatti dagli oltre 25 milioni di euro del 2015 a poco più di 7 milioni di euro nel 2015. Ma va notato che un’ampia parte riguarda forniture alle forze di polizia e corpi di sicurezza del regime di Al Sisi: nel 2014 sono state infatti esportate in Egitto più di 30mila pistole prodotte da un’azienda della provincia di Brescia per un valore di quasi 8 milioni di euro e nel 2015 sono stati inviati, in gran parte da un’azienda della provincia di Urbino, 3.661 fucili o carabine per un valore di oltre 3,8 milioni di euro. Si tratta di spedizione effettuate nonostante sia tuttora in vigore la decisione del Consiglio dell’Unione europea – assunta nell’agosto del 2013 e riconfermata nel febbraio del 2014 – di sospendere le licenze di esportazione all’Egitto “di ogni tipo di materiale che possa essere utilizzato per la repressione interna”.
I trend riguardanti la spesa militare mondiale e le esportazioni di armi del nostro paese appaiono molto chiari. Possiamo continuare così, oppure possiamo scegliere di investire altrove e di limitare l’esportazione di armi. E magari azzerare quelle verso paesi in conflitto (come prevede la legge) e paesi governati da regimi dittatoriali.