A un certo punto a me il dubbio è venuto: Beppe Grillo, quando parla di immigrazione, capisce quello che dice, almeno lui? Perché io no, non lo capisco. E può darsi sia un limite mio, sia chiaro.
Procediamo con ordine, e segnatevi bene le date.
Il 10 ottobre 2013, a seguito del voto favorevole in Commissione Giustizia di un emendamento proposto da due senatori del M5S sull’abolizione del reato di clandestinità, Grillo scriveva: «La loro posizione […] è del tutto personale. […] Non siamo d’accordo sia nel metodo che nel merito. […] Se durante le elezioni politiche avessimo proposto l’abolizione del reato di clandestinità […] il M5S avrebbe ottenuto percentuali da prefisso telefonico. […] Questo emendamento è un invito agli emigranti dell’Africa e del Medio Oriente a imbarcarsi per l’Italia. Il messaggio che riceveranno sarà da loro interpretato nel modo più semplice “La clandestinità non è più un reato”». 10 ottobre 2013: Grillo esprime una posizione nettissima a favore del reato di immigrazione clandestina.
Ieri (4 gennaio 2017), invece, sul sacro blog scriveva: «Con la proposta di abolizione del reato d’immigrazione clandestina votata dagli iscritti del M5S (reato inutile che ancora non è stato cancellato dal governo Pd-Ncd) miravamo a rendere più snelle le espulsioni, diminuire i costi a carico dei cittadini e facilitare il duro lavoro di magistrati e forze dell’ordine». 4 gennaio 2017: Grillo è a favore dell’abolizione del reato di immigrazione clandestina.
Il post di ieri riporta a un altro post, del 22 aprile 2015, nel quale non si capisce se Grillo questa volta sia favorevole o contrario al reato di immigrazione clandestina, ma sostiene che «Il reato di clandestinità esiste ancora, ma è gestito in modo che il clandestino di fatto non possa essere espulso. Il M5S si è adoperato per renderlo effettivo e per eliminare l’attuale situazione in cui è impossibile di fatto espellere chiunque entri senza permesso in Italia, una situazione che paralizza polizia e procure». Questa davvero non l’ho capita. Le espulsioni e i rimpatri si fanno da anni e anni. La difficoltà nell’eseguirli sta nella mancanza di accordi bilaterali con i paesi di provenienza e anche nel fatto che gli irregolari dovrebbero essere incriminati per un reato. Ma allora, o lo teniamo o non lo teniamo. 22 aprile 2015: non si capisce che voglia fare Grillo.
Ma la cosa davvero divertente è che nel post del 22 aprile 2015 si dice che «sul reato d’immigrazione clandestina il M5S ha voluto rendere più snelle le espulsioni degli irregolari, diminuire i costi a carico dei cittadini italiani e facilitare il duro lavoro di forze dell’ordine e magistrati», e per farlo linka un post del 9 ottobre 2013, nel quale si celebra l’approvazione dell’emendamento di cui parlavamo all’inizio, e che fu sconfessato il giorno seguente (10 ottobre) dal già citato post a firma Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio.
Per tornare al post di ieri, Grillo sostiene che «aprire un CIE per regione, come propone il Ministro Minniti, rallenterebbe solo le espulsioni degli immigrati irregolari e non farebbe altro che alimentare sprechi, illegalità e mafie con pesanti multe (pagate dai cittadini italiani) per la violazione di sentenze della Corte di Giustizia Europa e della Corte Costituzionale in materia di diritti umani». E allora qual è la soluzione? La soluzione è — secondo Grillo — «identificare chi arriva in Italia, scovare i falsi profughi, espellere rapidamente gli immigrati irregolari nel giro di qualche giorno, senza parcheggiarli in inutili CIE spesso gestiti dalle mafie, accogliere chi ha diritto d’asilo ed integrare seriamente gli immigrati regolari».
E come facciamo a «scovare» ed espellere nel giro di qualche giorno? Si mette Beppe Grillo a interrogare le 181.436 persone sbarcate in Italia quest’anno? Sono 500 al giorno. Valuta lui le domande d’asilo? Segue lui gli eventuali ricorsi? O respingiamo un po’ a casaccio, magari sulla base della nazionalità dichiarata, incappando in altre violazioni del diritto internazionale (il divieto di respingimenti collettivi)?
La risposta realistica è un’altra, lo ripetiamo da tempo: a) riattivare canali di ingresso per motivi lavorativi (superando la Bossi — Fini e asciugando le domande d’asilo, che oggi conviene in ogni caso fare); b) lavorare a strumenti per dare una possibilità di ricerca lavoro a coloro che ricevono il diniego alla domanda d’asilo e che magari hanno imparato l’italiano, nel frattempo, svolto tirocini, ottenuto borse lavoro, costruito una propria rete di sicurezza sociale, eccetera; c) per i pochi casi rimanenti, investire nei programmi per il rimpatrio volontario, garantendo percorsi di (re)inclusione nei paesi di provenienza.
La cosa davvero rivoluzionaria sarebbe, infine, aprire una discussione sulla ridefinizione del diritto d’asilo, estendendolo al concetto di “migrazioni forzate”, cioè alle migrazioni alle quali si è obbligati, perché l’ambiente in cui si vive non permette di rimanervi, anche a causa di fattori ambientali (alluvioni, desertificazione, ad esempio).