“Sa le anitre che stanno in quello stagno vicino a Central Park South? Quel laghetto? Mi saprebbe dire per caso dove vanno le anitre quando il lago gela? Lo sa, per caso?”. E’ la domanda che Holden Caulfield, personaggio del famoso libro di J. D. Salinger, rivolge ad un esterrefatto autista di taxi. Oggi, nel Dicembre 2015, il tono di quella domanda dovremmo tenerlo per un’altra, irresolubile, questione: che fine hanno fatto i numeri di Poletti?
Non vorrei rispondervi come il taxista con il giovane Holden (“Che ti salta in testa, amico?”), ma il mare dei dati sulle attivazioni contrattuali si è “congelato” più o meno a partire da Ottobre. Come per dire: fine della stagione dei numeri à la carté. Il dato occupazionale divulgato da ISTAT ieri l’altro, è incontrovertibile: gli occupati decrescono, crescono gli inattivi. L’effetto del Jobs Act è freddo come una giornata a Central Park, per dire.
Il Ministero del Lavoro, da due mesi a questa parte, ha bucato — passatemi il termine — tutte le scadenze, sia delle note flash, sia delle note trimestrali del sistema delle Comunicazioni Obbligatorie (SISCO), impiegate da inizio 2015 per confermare i mirabolanti effetti delle politiche in materia di lavoro.
Ricorderete per certo la bulimia dei numeri, sparsi — senza spiegazione alcuna — fra i titoli dei giornali. E di come, nel nostro piccolo, abbiamo dimostrato che le tendenze erano altre. Una questione risulta però tuttora sottovalutata, ovvero l’onere di queste politiche. Gli incentivi della decontribuzione — contenuti nella Legge di Stabilità 2015 — avranno un costo in termini di mancati introiti per l’INPS, un costo che si protrarrà per i prossimi tre/quattro anni. Quali saranno le conseguenze sul bilancio pubblico, questo è ancora tutto da capire.
Un giornale (Il Fatto Quotidiano), all’emissione del nuovo bollettino ISTAT, ha titolato “Jobs Crac: flop occupazione. Renzi ha regalato 3 miliardi”. La cifra citata si riferisce al comma 122 ex art. 1 della Legge di Stabilità 2015, la n. 190/2014. In esso si specifica che gli “incentivi di cui ai commi 118 e 121 (esonero dal versamento dei complessivi contributi previdenziali) si provvede, quanto a 1 miliardo di euro per ciascuno degli anni 2015, 2016 e 2017 e a 500 milioni di euro per l’anno 2018, a valere sulla corrispondente riprogrammazione delle risorse del Fondo di rotazione di cui all’articolo 5 della legge 16 aprile 1987, n. 183”.
Conoscendo gli ultimi dati divulgati dall’INPS sul numero dei contratti attivati nel 2015 che usufruiscono dello sgravio, è fin troppo chiaro che questi 3,5 miliardi, distribuiti sui quattro anni, non basterebbero neanche a coprire i mancati introiti contributivi del 2015. Secondo l’INPS, da Gennaio a Settembre (dati dell’Osservatorio sul Precariato — UNIEMENS, Novembre 2015) il numero di contratti attivati a tempo indeterminato che usufruisce dello sgravio è pari a 730 mila, mentre le trasformazioni contrattuali ammontano a circa 202 mila. Si parla quindi di circa ben 906 mila contratti e solo per i primi nove mesi dell’anno (in proiezione lineare, a fine anno dovrebbero essere circa 1,2 milioni).
Secondo le nostre stime (basate sempre sui dati dell’Osservatorio sul Precariato), il costo contributivo medio — per l’anno 2015 — è pari a circa 4500 euro. Quindi, il costo dell’operazione si aggira in mancata contribuzione per 5,4 miliardi nel 2015, almeno altri 7 miliardi nel 2016 e nel 2017 e circa 1 per il 2018. L’allarme era stato lanciato dal presidente dell’INPS, Tito Boeri, lo scorso Luglio:
Riguardo agli aiuti previsti nel Jobs act per i contratti a tempo indeterminato, Boeri ha detto che gli incentivi sono forse troppo costosi e difficilmente potranno essere mantenuti per lungo tempo. Al tasso attuale di assunzioni si può stimare che la perdita di gettito a regime di una decontribuzione triennale valida solo a partire dal 2015 sia di circa cinque miliardi. Se la decontribuzione dovesse poi continuare anche per tutto il 2016, al tasso attuale di assunzione e di utilizzo degli incentivi il costo salirebbe a 10 miliardi su base annua (qui).
E infatti nella Legge di Stabilità 2016 la decontribuzione è nuovamente prevista ma per la quota parte del 40% e con limite fissato a 3250 euro annui (sempre secondo i nostri calcoli, lo sgravio medio della decontribuzione 2016 si aggirerà intorno ai 1350 euro per contratto attivato, ben lontano dalle cifre di quest’anno e decisamente meno appetibile per le imprese, uniche beneficiarie di questa politica di incentivi).
Tuttavia, gli sgravi per i nuovi assunti nel 2016 determineranno altri mancati introiti per l’INPS pari a 3,6 miliardi. Potete capire, quindi, che lo storno dei 3 miliardi a valere sul Fondo di Rotazione, non può rappresentare una copertura sufficiente, essendo la proiezione al 2018 pari a 25 miliardi di mancata contribuzione. Nessuna norma della Legge di Stabilità 2016 prevede ulteriori trasferimenti al capitolo di spesa relativo. Il sospetto, ve lo anticipo, è che nei prossimi anni pagheremo caro questo sperpero improduttivo.
Poletti era stato chiamato a risponderne in Parlamento, mesi or sono. All’interrogazione n. 3–01434 del 15 aprile 2015, a firma del deputato Alfreider, ex SVP ora Gruppo Misto, il ministro Poletti ha risposto che, dopo una verifica effettuata “insieme al Ministero dell’economia e delle finanze, […] si segnala un errore nel riferimento al fondo di rotazione, quale fonte finanziaria utilizzata a copertura di questo articolo 1, comma 118”.
Tralasciando il fatto che una norma di una legge dello Stato è ritenuta erronea e che nessuno ha previsto di doverla correggere, possiamo finalmente apprendere che le somme a copertura degli sgravi sono contenute nel capitolo di spesa 4364 del Ministero del Lavoro (piano di gestione n. 17) e sono state così ripartite (parola del ministro): “1,886 miliardi di euro per il 2015, 4,885 per il 2016, 5,030 per il 2017, 2,902 per il 2018 e 387 milioni per il 2019”.
Ora, sarà pure il caso o la sfortuna, ma anche questa volta i numeri di Poletti collidono con quelli di Boeri (e con i nostri, che sono prossimi alle stime dell’INPS): stiamo trattando 1,2 milioni di contratti attivati nel 2015 che sono costati circa 5,4 miliardi di mancata contribuzione per i primi dodici mesi, e ne costeranno altri 16 per i successivi 24 mesi. Le stime di Aprile circa le attivazioni contrattuali erano pessimistiche? Non proprio, visto che Poletti non perdeva occasione per annunciare i grandi successi del Jobs Act.
Il capitolo di spesa citato dal ministro, il n. 4364 — “agevolazioni contributive, sottocontribuzioni ed esoneri” — secondo il bilancio per capitoli del Ministero del Lavoro, pubblicato sul sito della Ragioneria di Stato, comporta spese per 15,5 miliardi nel 2015, e circa 18 per gli anni 2016 e 2017. Peccato che su di esso insistano ben 29 disposizioni normative che prevedono forme di agevolazioni in materia contributiva. Sono sufficienti le coperture?
Nella Legge di Stabilità 2016, tali cifre sono pressoché confermate (come si evince dalla TABELLA n. 4 — Stato di previsione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali per l’anno finanziario 2016 e per il triennio 2016–2018), alla luce della loro revisione effettuata in sede di assestamento di bilancio di cui al D. Lgs 150/2015.
Ad inizio anno si poteva presumere un effetto di bilanciamento derivante dalle maggiori entrate IRES, determinate dall’incremento occupazionale (che Michele Raitano e Fabrizio Patriarca ipotizzavano in circa 200 mila nuovi posti di lavoro), ma gli ultimi dati divulgati da ISTAT rivelano che gli occupati dipendenti ‘permanenti’, nel periodo Agosto-Ottobre 2015, sono diminuiti di 32 mila unità, mentre secondo i dati UNIEMENS le attivazioni contrattuali nette di contratti a tempo indeterminato sono diminuite di 38 mila unità nel periodo Luglio-Settembre 2015. Da inizio anno il conteggio è sceso a 77 mila. Per dire: abbiamo speso 5,4 miliardi per attivare circa 77 mila nuovi contratti in più, ovvero ognuno di questi nuovi contratti è costato la bellezza di 70 mila euro!
Lo ricordo ancora una volta: denari finiti nelle tasche delle aziende.