I principi che hanno ispirato lo Statuto di Possibile

LO STATUTO POSSIBILE 

(per la par­te­ci­pa­zio­ne, l’uguaglianza, la liber­tà, l’alternativa)

In coe­ren­za con i prin­ci­pi del Pat­to repub­bli­ca­no, Pos­si­bi­le inten­de dotar­si di uno sta­tu­to per far deci­de­re le per­so­ne.

Chi cer­cas­se in que­sto sta­tu­to una segre­te­ria o una dire­zio­ne nazio­na­le, maga­ri sot­to men­ti­te spo­glie, non la troverebbe.

Sono ritua­li che appar­ten­go­no ad altri model­li, dal cui rifiu­to nasce Pos­si­bi­le, per­ché que­sti han­no fal­li­to costan­te­men­te, nono­stan­te le nume­ro­se ripro­po­si­zio­ni con vari aggiu­sta­men­ti. Han­no fini­to per allon­ta­na­re sem­pre più i cit­ta­di­ni dai par­ti­ti, dive­nu­ti – per usa­re le paro­le di Enri­co Ber­lin­guer (inter­vi­sta a Euge­nio Scal­fa­ri, la Repub­bli­ca, 28 luglio 1981) – «soprat­tut­to mac­chi­ne di pote­re e di clien­te­la: scar­sa o misti­fi­ca­ta cono­scen­za del­la vita e dei pro­ble­mi del­la socie­tà e del­la gen­te, idee, idea­li, pro­gram­mi pochi o vaghi, sen­ti­men­ti e pas­sio­ne civi­le, zero. Gesti­sco­no inte­res­si, i più dispa­ra­ti, i più con­trad­dit­to­ri, tal­vol­ta anche loschi, comun­que sen­za alcun rap­por­to con le esi­gen­ze e i biso­gni uma­ni emer­gen­ti, oppu­re distor­cen­do­li, sen­za per­se­gui­re il bene comu­ne. La loro stes­sa strut­tu­ra orga­niz­za­ti­va si è ormai con­for­ma­ta su que­sto model­lo, e non sono più orga­niz­za­to­ri del popo­lo, for­ma­zio­ni che ne pro­muo­vo­no la matu­ra­zio­ne civi­le e l’iniziativa: sono piut­to­sto fede­ra­zio­ni di cor­ren­ti, di cama­ril­le, cia­scu­na con un “boss” e dei “sot­to-boss”».

Lo sta­tu­to di Pos­si­bi­le è solo il pri­mo stru­men­to per con­sen­ti­re che i cit­ta­di­ni deci­da­no, par­te­ci­pan­do atti­va­men­te, anzi­tut­to nei comi­ta­ti, in cui pos­so­no final­men­te tro­va­re un luo­go imme­dia­to nel qua­le con­cor­re­re alla deter­mi­na­zio­ne del­la poli­ti­ca nazio­na­le, e poi negli Sta­ti gene­ra­li, il vero cen­tro poli­ti­co del par­ti­to (di cui abbia­mo sta­bi­li­to sol­tan­to un nume­ro mini­mo di riu­nio­ni, ma che dovrà lavo­ra­re con con­ti­nui­tà), anche gra­zie alla piat­ta­for­ma.

Una piat­ta­for­ma in cui tro­va­re e immet­te­re con­te­nu­ti, discu­te­re e deli­be­ra­re, secon­do siste­mi già spe­ri­men­ta­ti al di fuo­ri dell’Italia, arre­tra­ta (anche) sui meto­di par­te­ci­pa­ti­vi, per­ché sem­pre inte­res­sa­ta a un dibat­ti­to per raf­for­za­re il pote­re, sem­pre più lon­ta­no dai cit­ta­di­ni. Un piat­ta­for­ma che sarà pre­sen­ta­ta ai pri­mi Sta­ti gene­ra­li di Napo­li, il 21 novem­bre e che si arric­chi­rà attra­ver­so le sol­le­ci­ta­zio­ni di tut­ti duran­te la fase congressuale.

Gli altri orga­ni nazio­na­li pre­vi­sti han­no sol­tan­to una fun­zio­ne di coor­di­na­men­to orga­niz­za­ti­vo e del meri­to del­le pro­po­ste (che il comi­ta­to scien­ti­fi­co con­tri­bui­sce a appro­fon­di­re e strut­tu­ra­re) e – attra­ver­so il Segre­ta­rio – di rap­pre­sen­ta­zio­ne del­le pro­po­ste anche nel­le sedi isti­tu­zio­na­li e nel con­fron­to con le altre for­ze poli­ti­che. Oltre che, natu­ral­men­te, fun­zio­ni di garan­zia dei dirit­ti (anzi­tut­to di par­te­ci­pa­zio­ne) degli iscrit­ti e dei comi­ta­ti.

A livel­lo ter­ri­to­ria­le il comi­ta­to è il luo­go ope­ra­ti­vo e di con­cre­to con­fron­to tra le per­so­ne sul­le que­stio­ni che si inten­do­no affron­ta­re. Sia dal pun­to di vista del­la pro­po­sta che del­lo svol­gi­men­to, poi, del­le rela­ti­ve cam­pa­gna. È pre­vi­sta la pos­si­bi­li­tà che i comi­ta­ti si coor­di­ni­no per ambi­ti ter­ri­to­ria­li otti­ma­li, a secon­da del­le neces­si­tà (secon­do un prin­ci­pio di sus­si­dia­rie­tà: esi­ste una que­stio­ne comu­na­le? I comi­ta­ti del comu­ne si vedo­no e coor­di­na­no… e così via salen­do di livel­lo…). Esso agi­sce quin­di in una logi­ca “fede­ra­le”, sen­za livel­li ter­ri­to­ria­li “supe­rio­ri”, ma nel­la cor­ni­ce che sca­tu­ri­sce a livel­lo nazionale.

Pos­si­bi­le, in sostan­za, richie­de una par­te­ci­pa­zio­ne atti­va e pro­po­si­ti­va, per dare for­ma con­cre­ta a quell’articolo del­la Costi­tu­zio­ne – il 49 – che indi­ca nel par­ti­to poli­ti­co lo stru­men­to attra­ver­so il qua­le i cit­ta­di­ni con­cor­ro­no, con meto­do demo­cra­ti­co, alla deter­mi­na­zio­ne del­la poli­ti­ca nazio­na­le.

Tut­ti pos­so­no far­lo, pro­po­nen­do, con­fron­tan­do­si, ragio­nan­do di temi e que­stio­ni con­cre­te, di livel­lo loca­le o nazio­na­le (poten­do con­ta­re anche sul sup­por­to del comi­ta­to scientifico).

Si trat­ta di un meto­do demo­cra­ti­co che fino ad ora nes­sun par­ti­to poli­ti­co ha real­men­te spe­ri­men­ta­to e con il qua­le si inten­de assi­cu­ra­re un rap­por­to con­ti­nua­ti­vo con la rap­pre­sen­tan­za isti­tu­zio­na­le, rifug­gen­do la logi­ca del­la “dele­ga-tut­to-com­pre­so”. Con­si­de­ra­to che – come ha scrit­to Aldo Schia­vo­ne, Non ti dele­go, Riz­zo­li, 2013 – «quel­la che da noi si sta chia­man­do “anti­po­li­ti­ca” (una paro­la in effet­ti ingan­ne­vo­le) è in real­tà – per dare alle cose il loro nome – non rifiu­to del­la poli­ti­ca, che anzi sta dive­nen­do l’oggetto di una rin­no­va­ta pas­sio­ne, quan­to piut­to­sto rifiu­to del­la demo­cra­zia nei ter­mi­ni in cui ci è sta­ta con­se­gna­ta dal­la tra­di­zio­ne costi­tu­zio­na­le euro­pea, e in par­ti­co­la­re del­la demo­cra­zia ita­lia­na: non del prin­ci­pio demo­cra­ti­co nel­la sua for­ma più astrat­ta ed essen­zia­le, ridu­ci­bi­le al pri­ma­to del­la sovra­ni­tà popo­la­re. Ma distac­co dal­la nostra spe­ci­fi­ca demo­cra­zia, da que­sta demo­cra­zia ita­lia­na d’inizio seco­lo, nei modi in cui ci è con­sen­ti­to (ci sia­mo ridot­ti a) pra­ti­car­la; e in spe­cie per quan­to attie­ne al fun­zio­na­men­to del­le assem­blee elet­ti­ve e al peso dei par­ti­ti nel­la gestio­ne del­la cosa pub­bli­ca – temi che coin­vol­go­no pro­prio il rap­por­to cru­cia­le fra sovra­ni­tà e rappresentanza».

È per rico­strui­re la poli­ti­ca come inte­res­se comu­ne, indi­vi­dua­to con il con­cor­so di tut­ti, con la effet­ti­va pos­si­bi­li­tà per tut­ti di deci­de­re, che Pos­si­bi­le nasce e la sua for­ma non può che esse­re la con­se­guen­za di que­sta visio­ne, apren­do­si alla par­te­ci­pa­zio­ne, sen­za limi­ta­re le scel­te all’interno di orga­ni più o meno ristret­ti da cui sareb­be comun­que esclu­so chi non fa par­te di un grup­po che diver­reb­be pre­sto simi­le a mol­te altre decli­na­zio­ni del ceto politico.

Cer­ta­men­te la pro­po­sta è aper­ta e sarà uno degli ele­men­ti di discus­sio­ne del­la fase con­gres­sua­le, in coe­ren­za, natu­ral­men­te, con gli obiet­ti­vi del Pat­to repub­bli­ca­no – e in par­ti­co­la­re con la par­te rela­ti­va alla demo­cra­zia e alla par­te­ci­pa­zio­ne – che nel­lo sta­tu­to sono sta­ti ripre­si e decli­na­ti anche con rife­ri­men­to all’organizzazione inter­na, come abbia­mo cer­ca­to di illustrare.

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