Ci vuole un gran fegato nel proporre una riforma costituzionale: significa essere convinti di avere lo spessore politico e morale di impugnare la penna in un testo che è costato sangue e richiede la convinzione di essere legittimati a un’operazione che avrebbe il dovere di unire un Paese che è sempre più diviso, crepato finanche nelle istituzioni e rabbioso. Questo non significa che la Costituzione sia sacra, no: la Carta Costituzionale è la legge madre delle leggi dello Stato e in quanto tale può essere migliorata. Di più: deve essere migliorata poiché il compito della politica, quella vera, è di alimentare e sintetizzare un continuo dibattito che tenda al meglio, alla limatura continua al passo dei tempi e delle esigenze.
La contrapposizione tra riformisti e conservatori nel prossimo referendum sulla riforma costituzionale Renzi — Boschi è un falso: qui c’è uno schieramento innamorato del feticcio del cambiamento per il cambiamento da una parte e chi invece crede che sia meglio il niente (ora, così) piuttosto che un “peggio di niente”. Poi di contorno ci sono di resto coloro che cavalcano il referendum per zuffe di partito o per spodestare il governo di turno ma questi ora non ci interessano.
Però nel minestrone del populismo e della strumentalizzazione la credibilità non c’entra. La credibilità di chi propone questa riforma è un fatto politico. La compagine di chi ha tessuto le trame di questa proposta di riforma (oltre che il modo) è un elemento caratterizzante e indicativo: in una democrazia parlamentare così tanto interferita dall’Europa finanziaria, un governo non è legittimato semplicemente dai banchi che si trova ad occupare. Troppo facile, no. Se una maggioranza si propone come elemento riformatore (se non addirittura stravolgente) in tema di Costituzione ha il dovere di farsi giudicare nella sua composizione.
Renzi e Verdini (ma anche Alfano ministro dell’Interno e la Pinotti ministra della guerra e la Lorenzin ministra alla riproduzione) sono connotazioni importanti: è la differenza tra chi vota no alla riforma “come” e questi che scrivono la riforma “con”. Per questo non dobbiamo avere remore nel giudicare la credibilità di questa strampalata ciurma: la credibilità è un fatto. Di merito. E va discussa dappertutto: nei banchetti, negli incontri, casa per casa.