La politica della rassegnazione

Dal­la fal­sa rot­ta­ma­zio­ne, sia­mo pas­sa­ti alla ras­se­gna­zio­ne pres­so­ché tota­le.

Dal­le lar­ghe inte­se, sia­mo pas­sa­ti — per col­pa pro­prio del­le lar­ghe inte­se — a osser­va­re ras­se­gna­ti un dibat­ti­to tra sor­di, in cui ci si man­da a quel Pae­se e nes­su­no ragio­na più. Una spe­cie di gigan­te­sco spec­chio rifles­so, a cui tut­ti sem­bra­no con­se­gna­ti. E rassegnati.

Dal­le rifor­me ombe­li­ca­li e auto­ce­le­bra­ti­ve, sia­mo pas­sa­ti alla con­vin­zio­ne che non si pos­sa fare nul­la. Alla cer­tez­za che tut­to sia irri­for­ma­bi­le, men­tre era­no sem­pli­ce­men­te rifor­me brut­te e inef­fi­ca­ci, quel­le che sono sta­te boc­cia­te. E inco­sti­tu­zio­na­li, come nel caso del­la leg­ge elet­to­ra­le (per la secon­da vol­ta consecutiva!).

Ras­se­gna­ti a una gestio­ne fol­le dell’immigrazione, tra l’il­le­ga­li­tà degli uni e muri degli altri: eppu­re si potreb­be fare bene, si potreb­be (e si dovreb­be) cam­bia­re il mon­do. E inve­ce abbia­mo cin­quan­ta sfu­ma­tu­re di Lega, da Sal­vi­ni a Min­ni­ti pas­san­do per le ambi­gui­tà di Grillo.

Ras­se­gna­ti a un Pae­se pove­ro di ener­gie, e inve­ce si potreb­be fare tut­to sen­za dipen­de­re da sceic­chi e dit­ta­to­ri, pro­du­cen­do­si e scam­bian­do­si l’energia, gra­zie anche agli straor­di­na­ri cam­bia­men­ti tec­no­lo­gi­ci che han­no ridot­to i prez­zi di pro­du­zio­ne da rin­no­va­bi­li.

Ras­se­gna­ti a un Pae­se fami­li­sta, pie­no di con­flit­ti di inte­res­si, di fur­bi­zie di cui tut­ti si scan­da­liz­za­no ma che qua­si tut­ti pra­ti­ca­no o ammi­ra­no. Per­ché quan­to è sta­to bel­lo ave­re pre­mier fur­bi, negli ulti­mi anni!

Ras­se­gna­ti alle disu­gua­glian­ze, come se fos­se­ro un dato natu­ra­le, come se non si potes­se supe­rar­le con la pro­gres­si­vi­tà, con il red­di­to mini­mo, con la giu­sta retri­bu­zio­ne, con la dove­ro­sa tas­sa­zio­ne dei grup­pi mul­ti­na­zio­na­li elu­si­vi e i nostra­nis­si­mi evasori.

Ras­se­gna­ti al pre­sen­te che sa di pas­sa­to, men­tre si potreb­be inve­sti­re nel­la scuo­la e nel­l’u­ni­ver­si­tà tut­to quel­lo che abbia­mo, come fareb­be un geni­to­re intel­li­gen­te e con­sa­pe­vo­le dei rischi a cui van­no incon­tro figli che non abbia­no impa­ra­to a cono­sce­re il mon­do e se stessi.

Ras­se­gna­ti al maschi­li­smo, tan­to che si cele­bra l’8 mar­zo come una festa coman­da­ta e però poli­ti­ca­men­te mino­re, con fiu­mi di reto­ri­ca sen­za alcu­na concretezza.

La ras­se­gna­zio­ne. Che azze­ra la poli­ti­ca. Che la ren­de indi­stin­gui­bi­le, che la con­se­gna all’inu­ti­li­tà.

Per tut­ti quel­li che non si ras­se­gna­no, per quel­l’Ita­lia pos­si­bi­le, com­pe­ten­te, lun­gi­mi­ran­te, libe­ra e corag­gio­sa che esi­ste già e ha solo biso­gno di esse­re rap­pre­sen­ta­ta, per tut­ti quel­li che pen­sa­no che si pos­sa fare diver­sa­men­te, noi ci sia­mo. Potrem­mo esse­re di più, ci vie­ne det­to. Ma anche que­sto dipen­de da voi: noi sia­mo qui.

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