L’uguaglianza come motore, come condizione di partenza tra le persone, nei diritti e nei doveri e, appunto, nelle possibilità.
Scrivevamo così, esattamente un anno fa, quando Possibile muoveva i suoi primi passi. Ed eravamo già in ritardo. Sì, perché le disuguaglianze, in questo paese, aumentano di giorno in giorno, ormai da anni.
Un indicatore sintetico delle disuguaglianze all’interno di un paese — al quale siamo particolarmente affezionati da molto, molto tempo — è il cosiddetto indice di Gini, che varia tra 0 e 1, a indicare, quando il valore è 0, una perfetta distribuzione di una determinata variabile (nel nostro caso la ricchezza) e, quando il valore è 1, una totale disuguaglianza (una sola persona, ricchissima, che detiene tutto).
Il valore in sé è sicuramente interessante, ma è ancor più interessante paragonarlo con altri paesi e studiare come varia nel tempo, per capire come ci posizioniamo rispetto ad altre economie e — soprattutto — verso dove stiamo andando, se verso i paesi scandinavi (dove l’indice è più vicino allo 0) o verso gli Stati Uniti (e un sacco di paesi del terzo e quarto mondo) dove il valore dell’indice è più vicino a 1.
Bene. La notizia è che non ci stiamo avvicinando né alla Danimarca (magari!), né agli Stati Uniti, ma che abbiamo addirittura superato questi ultimi. Questo è quanto si ricava dal Rapporto ISTAT 2016.
Si tratta, scrive l’ISTAT, «dell’incremento più alto tra i paesi per i quali sono disponibili i dati».
Ed è proprio all’indice di Gini che dovremmo guardare ogni volta che si fa una scelta politica, domandandoci se tale scelta andrà ad ampliare o a ridurre le disuguaglianze. Così abbiamo fatto nel caso del bonus 80 euro, nel caso della decontribuzione a pioggia, nel caso del Jobs Act, nel caso delle misure contenute all’interno dello Sblocca Italia che premiano le rendite. Avrebbe dovuto farlo anche il governo, ma così non è stato, dato che sono state preferite misure spot e che alimenteranno inevitabilmente la spirale di disuguglianza descritta dall’ISTAT.