La cronaca. Il 1^ aprile 2015 il ministro dell’economia Padoan e il cardinale Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati della Santa Sede, firmano a Roma la Convenzione in materia fiscale tra Italia e Vaticano.
L’art. 6 della Convenzione contiene l’esenzione eterna (nunc et semper et in saecula saeculorum) dai tributi “sia ordinari che straordinari, presenti e futuri, tanto verso lo Stato che verso qualsiasi altro ente (leggi Provincia e Comune di Roma), senza necessità di ulteriori e specifiche disposizioni di esenzione” di una serie, lunga e aperta, di immobili vaticani. Tra questi, a titolo di esempio, il palazzo della Dataria (che è stato ceduto a privati) e gli immobili siti nel lato nord del colle gianicolense appartenenti a Propaganda Fide. Senza contare gli innumerevoli “annessi e dipendenze”, anch’essi esentati forever. Il Governo ci racconta che si dà finalmente attuazione all’art. 16 del Trattato del Laterano del 1929. Appena 87 anni, 1 mese e qualche giorno!
Ma la vera norma originale, inedita e sconcertante è il secondo comma dell’art. 6, che estende l’esenzione “anche ai rapporti pendenti e non definiti con sentenza passata in giudicato”.
Tradotto in un italiano potabile:
- Ci sono delle cause in corso, civili, penali, amministrative, tributarie, chi lo sa?
- Queste cause sono state promosse dallo Stato o dal Comune di Roma contro il Vaticano che pretende di non pagare i tributi sui suoi immobili?
- Magari gli enti italiani hanno vinto in primo grado, potrebbero rivendicare il pagamento dei tributi e invece ci rinunciano, in forza di questa norma.
Se questo è il quadro, vi sembra normale, fisiologico, ragionevole, legittimo che il Parlamento voti un condono tombale che chiude un contenzioso tributario col Vaticano senza sapere di quanti immobili si tratta, di quante e quali cause si chiuderanno così, di quali effetti finanziari si produrranno nei bilanci degli enti italiani per minor gettito tributario, di quanti soldi si tratta?
Soldi sottratti ai bilanci pubblici, già esangui, dello Stato italiano e del Comune di Roma. Gli unici ad avere presentato un emendamento e quindi a svolgere una funzione parlamentare attiva siamo stati noi. E non è che ci siamo inventati una crociata al contrario, abbiamo laicamente chiesto che almeno la Corte dei Conti monitorasse annualmente gli effetti finanziari di questa norma. 75 voti favorevoli, 260 contrari. Agghiacciante.
Ma ciò che ci sconvolge oggi, 1 aprile 2016, all’indomani di questa pagina parlamentare e a un anno esatto dalla firma della Convenzione Fiscale tra Stato e Vaticano, è che nessun quotidiano italiano ne parli.
Speriamo, data la concomitanza temporale, che sia uno scherzo ma temiamo di no. Temiamo che la nostra precaria e ammalata democrazia, che è fatta di istituzioni ma anche di contropoteri preziosi come la stampa, abbia assorbito la pax fiscalis vaticana nel suo dna. Sono finiti gli anticorpi, forse, ma noi non ci facciamo scoraggiare e assumeremo iniziative anche eclatanti per denunciare questo silenzio surreale e drammatico su un tema di pubblico interesse come quello che, solitariamente e coraggiosamente, abbiamo sollevato.
Abbiamo già depositato un progetto di legge per il superamento del meccanismo di moltiplicazione dell’8 per mille inoptato che finisce in modo abnorme e sproporzionato (1 miliardo di euro all’anno) alla Chiesa cattolica. La stessa CEI certifica che solo una minima parte e’ destinata ad opere caritatevoli. Se la nostra proposta venisse approvata l’8 per mille su cui i contribuenti non esprimono alcuna destinazione affluirebbe nelle casse dello stato con una destinazione chiara, specifica e obbligatoria, il finanziamento di misure di contrasto alla povertà.
Pippo Civati e Andrea Maestri