La Possibile Italia
A che punto è la notte
Verrebbe da chiedersi se questa lunga, eterna stagnazione della politica abbia una fine oppure se il nostro destino sia davvero restare in un limbo chiamato “governo di unità nazionale”. Verrebbe da chiedersi quando le cose che si erano rotte saranno davvero aggiustate, quando il mondo che si liquefa sotto temperature fuori da tutte le statistiche verrà riparato e tenuto con cura.
Quando. Non perché. Le ragioni sono evidenti e si chiamano crisi climatica, povertà, discriminazione, disuguaglianze, ingiustizia. Se si dovesse tornare a fare l’analisi delle cause, daccapo, come in una perversa riproposizione dell’uguale, allora dovremmo smettere subito di scrivere queste righe e di discutere con chicchessia.
Quando. Non come. Ci sono azioni da mettere in campo, senza più tergiversare. La stagione che stiamo vivendo, sia in senso climatologico sia in senso meramente narrativo, presenta segni inequivocabili — ampiamente noti e descritti nelle ricerche scientifiche — e se la nostra parte politica ha ancora dubbi su cosa proporre al proprio elettorato — scosso, smarrito, disperso, a volte illuso e persino deriso — è evidente allora che ci troviamo dalla parte sbagliata della Storia.
Ma a voi che avete resistito sinora, voi che avete riposto tra le pieghe delle pagine le speranze sempre deluse, a voi ora doniamo questo ulteriore sforzo, questa ulteriore prova di immaginazione e progettazione (che dovrebbe essere di ogni programma politico elettorale, ma tant’è). La forza del Possibile sta proprio nel fatto che «il pensiero politico debba essere felice, non confinato all’analisi e troppo spesso all’autoanalisi ma aperto e arioso. Spalancato» (cit.). Noi ci proviamo. Proviamo a pensare e progettare un Paese diverso, la Possibile Italia.
È con felicità che abbiamo scritto il programma elettorale 2022. Con trasporto, travaglio, coraggio e disperazione. È “anticipato”, come le elezioni, ma in realtà da ben più tempo, ché le sue radici sono profonde più di dieci anni ormai.
Provate a riparare il mondo
Da dove cominciare? Lo abbiamo ripetuto come un mantra: clima, progressività, patrimoniale. E scuola e ricerca, perché dobbiamo prepararci, essere in grado di individuare le soluzioni tecniche e gli approcci sociali adeguati, mescolando innovazione e capacità di tenere tutte e tutti insieme.
Ci sono questioni profondissime che coinvolgono la tenuta sociale del Paese, a partire dal fatto che la transizione — o il trapasso, come direbbe il poeta — non sia «dal sangue al sasso» ma fornisca strumenti, risorse, possibilità a chi invece è ai margini, da sempre o da ora. La tassazione deve tornare ad avere effetti redistributivi, anziché favorire le solite classi, i soliti noti. Lavoro e diritti civili possono essere declinati insieme, e poi la cannabis e l’eutanasia sono ancora da legalizzare. Regole che devono essere estese al di là del piano nazionale, in barba ai sovranismi (che sono nazionalismi senza il coraggio di definirsi tali e perciò miserevoli): l’Europa è la dimensione prima in cui portare tutte queste battaglie. Un governo veramente europeista, in modo schietto e non generico come nell’ultima astratta esperienza dell’uomo di latta, dovrebbe trovare proprio nel consesso europeo il luogo ove confermare e lanciare il proprio disegno riformatore, che non può però fare a meno di essere calato nel concreto, di essere fatto di azioni, di strumenti, di progetti di modifica dell’esistente.
L’intenzione fondante di questo documento è proprio quella di fornire un piano, una cassetta degli attrezzi, una lista di cose da fare per riparare il mondo prima che sia troppo tardi. Anzi, da fare ora, che è già troppo tardi. Con un obiettivo solo: il Futuro. Un Futuro Possibile, per ciascuna e ciascuno di noi ed in particolare per i e le giovani di oggi e di ogni domani.
Diamo un senso all’anno europeo dei giovani
Corre l’anno europeo dei giovani, in un momento storico in cui sono la generazione più colpita dalla crisi socio-economica. Eppure nessuno si occupa di loro, né delle questioni che essi stessi reputano prioritarie.
Tra i temi ritenuti da essi principali, su cui dovrebbe concentrarsi l’azione di governo, troviamo la lotta alla disoccupazione e la spinta all’occupazione (36%), la protezione ambientale e il contrasto al cambiamento climatico (35%), il miglioramento dell’istruzione e formazione, anche tecnica, con possibilità di movimento di studenti, alunni e apprendisti (31%), la lotta alle disuguaglianze economiche e sociali e alla povertà e la promozione dei diritti umani (30%) e la tutela della salute mentale e del benessere fisico (27%). Accanto a queste priorità, l’aspettativa principale è quella che le classi dirigenti tengano maggiormente in considerazione i bisogni e le opinioni dei giovani (39%).
È un grido — quasi disperato, ci sembra — di aiuto. Una richiesta più che comprensibile e, ancor più, condivisibile. I giovani e le giovani di oggi, e di domani, riceveranno dalle precedenti generazioni — ne stanno già avendo un terribile e spaventoso assaggio — un mondo di disuguaglianze, di corsa al riarmo, di bassa o nulla mobilità intergenerazionale interna, di disastri ambientali crescenti, di città invivibili — per motivi climatici ma anche economici -, di povertà, di lavoro sfruttato ma irrinunciabile, con conseguenti, enormi, ripercussioni psicologiche. Un mondo di malessere e infelicità. Senza che nessuna di loro, che nessuno di loro, abbia contribuito a questo disastro: impotenti di fronte alla miopia e all’egoismo sfrenato dei loro padri che hanno governato pensando soltanto al loro tornaconto personale del momento. È stata una politica basata sino ad oggi soltanto sull’ego — maschile, bisogna dirlo — di chi ci ha governato. Abbiamo il dovere morale, come essere umani, di permettere lo sviluppo sociale, in primis, di chi oggi non ha strumenti sufficienti per farsi ascoltare e per scegliere.
Oggi la fascia d’età dai 15 ai 34 anni, in Italia, rappresenta poco più del 20% della popolazione nazionale, a fronte di un 28,2% della fascia 35–54 e di un 26,5% di quella 55–74. Un calo impressionante, se si pensa che trent’anni fa (1992), il peso delle stesse fasce d’età era del 30,6% (15–34 anni), 26,3% (35–54), 20,6% (55–74). Molti fattori hanno contribuito a questo calo numerico, tra i quali le politiche (inesistenti) a sostegno del work-life balance di madri e padri. Lo squilibrio di oggi toglie quasi ogni strumento alla fascia più giovane per riuscire ad incidere attivamente sul processo decisionale e sulle scelte che li riguardano, causando uno sbilanciamento significativo e visibile verso gli interessi delle generazioni più adulte.
Eppure, di fronte a una tale lampante impotenza, loro stessi indicano come azione più efficace per far sentire la propria voce il partecipare alle elezioni (locali, nazionali ed europee, 40%), mentre solo una parte esigua (5%) crede che nessuna azione sia realmente efficace per riuscire ad incidere a livello politico.
Basta dunque con la solita retorica che vuole sempre incolpare altri soggetti per le proprie decisioni scellerate o per il proprio totale disinteresse. La politica — o meglio, i politici — dovrebbero avere il coraggio di ammettere che sono loro i primi che non si curano dei giovani, non viceversa. Nel 2019, le persone che più si informano di fatti di politica anche tramite l’utilizzo di internet (una o più volte a settimana), sono proprio i giovani dai 18 ai 34, percentuali tra il 72 e il 74% (quasi 10 punti in più di quelli tra 35 e i 44, immediatamente dopo di loro). Percentuali che sono cresciute enormemente rispetto al 2014 (tra i 23 e i 31 punti percentuali). E proprio i giovani dai 14 ai 24 anni sono i più coinvolti nella politica attiva, specialmente tramite la partecipazione ai cortei.
Basta quindi con tutte quelle parole — tante, troppe — che vogliono il disinteresse (peraltro uno stigma più che una realtà) delle nuove generazioni come causa della mancanza di politiche a loro dedicate. È il momento di una presa di responsabilità. È il momento di chiedersi — domanda retorica, ovviamente — se la colpa non sia invece di chi ha mancato volontariamente di offrire delle proposte credibili e delle prospettive di lungo periodo per il loro benessere sociale, economico, psicologico.
È questo che noi vogliamo fare — e che crediamo tutti i partiti debbano fare: ridare una speranza a coloro che sono il nostro Futuro. E restituire a tutte e tutti noi la possibilità di essere felici.