Ma quale reddito minimo? Sembra più governance delle povertà

Non c’è la minima ombra di “reddito minimo garantito”, ma si rischia di finanziare un apparato di governo della povertà, una sorta di governance privato-pubblica del “rischio esclusione sociale”, e di modellare questa misura nel senso di un Workfare, con il rischio di precipitare dalla trappola della povertà alla trappola del lavoro povero, poverissimo.

A leg­ge­re le agen­zie di stam­pa sem­bre­reb­be che anche in Ita­lia, buon ulti­mo Pae­se dell’Unione euro­pea, a quarant’anni dai Pae­si nor­di­ci e a tren­ta dal­la Fran­cia, sareb­be sta­ta intro­dot­ta una qual­che for­ma di red­di­to mini­mo, ovve­ro una misu­ra uni­ver­sa­li­sti­ca di tute­la dal rischio di esclu­sio­ne socia­le e di pro­mo­zio­ne dell’autonomia indi­vi­dua­le e del­la soli­da­rie­tà collettiva.

Parametri “minimi” per il RMG

È uti­le fare rife­ri­men­to ad alcu­ni para­me­tri che indi­vi­dua­no gli ele­men­ti “mini­mi”, sia con­ces­so il gio­co di paro­le, di un red­di­to mini­mo garan­ti­to (che sia di inclu­sio­ne, atti­vi­tà, etc.): attri­bu­zio­ne indi­vi­dua­le del dirit­to al red­di­to garan­ti­to, inte­so come vero e pro­prio ius exi­sten­tiae; ade­gua­tez­za del bene­fi­cio eco­no­mi­co non solo per usci­re dal­la con­di­zio­ne di pover­tà rela­ti­va (e non solo asso­lu­ta), ma per garan­ti­re una vita atti­va e indi­pen­den­te ed in ogni caso in rela­zio­ne con altre misu­re di Wel­fa­re; l’elemento del­la resi­den­za per poter acce­de­re al RMG (sem­mai vin­co­la­to ad un limi­te tem­po­ra­le di par­ten­za per per­so­ne pro­ve­nien­ti da Pae­si non Ue); con­grui­tà dell’offerta di lavo­ro pro­po­sta nel pat­to che il tito­la­re del RMG instau­ra con le isti­tu­zio­ni pub­bli­che (cen­tri per l’impiego), in base a pre­ce­den­ti occu­pa­zio­ni, com­pe­ten­ze acqui­si­te, anche infor­ma­li, tito­lo di stu­dio, etc. (tut­ti para­me­tri pre­vi­sti dall’Organizzazione inter­na­zio­na­le del lavo­ro); col­le­ga­men­to con altre misu­re di red­di­to indi­ret­to (acces­so a ser­vi­zi pub­bli­ci, socia­li e non, di qua­li­tà, acces­so e par­te­ci­pa­zio­ne alla vita civi­le e cul­tu­ra­le, etc.).

Nul­la di tut­to que­sto è “mini­ma­men­te” (di nuo­vo ci si scu­sa) pre­vi­sto nel “DdL pover­tà” appro­va­to alla Came­ra che è infat­ti una misu­ra di lot­ta alla pover­tà asso­lu­ta, pre­va­len­te­men­te indi­riz­za­ta a fami­glie nume­ro­se in sta­to di pover­tà pra­ti­ca­men­te asso­lu­ta, così come per gli over-55 sem­pre in pover­tà asso­lu­ta. Inten­dia­mo­ci, con­si­de­ra­to il nostro disa­stra­to siste­ma di Wel­fa­re, potreb­be esse­re una misu­ra meri­to­ria dal­la qua­le par­ti­re per pro­va­re a pen­sa­re un Wel­fa­re uni­ver­sa­li­sti­co all’altezza, sep­pu­re un Wel­fa­re uni­ver­sa­le mol­to “selet­ti­vo” e anche se 600 milio­ni come pri­mo finan­zia­men­to appa­io­no ben poca cosa. Soprat­tut­to se con­fron­ta­ti ai 10 miliar­di per i famo­si “80 euro”.

Ce lo chiede l’Europa, da venticinque anni!

In ogni caso, per­ché chia­ma­re que­sto inter­ven­to “red­di­to mini­mo di inclu­sio­ne” (come da recen­te emen­da­men­to dell’art. 1, let­te­ra a) del Dise­gno di leg­ge dele­ga di con­tra­sto alla pover­tà)? Qui, a pen­sar male (anche se qual­cu­no ci ricor­da­va che si fa pec­ca­to), sem­bre­reb­be di leg­ge­re la sma­nia gover­na­ti­va di dare final­men­te segui­to alle ulti­me indi­ca­zio­ni dell’Unione euro­pea, di cir­ca un paio di anni fa (ce lo chie­de l’Europa, Signo­ra mia!), dove si riba­di­va l’urgenza di adot­ta­re “degli sche­mi di red­di­to mini­mo (mini­mum inco­me), che garan­ti­sca­no un red­di­to suf­fi­cien­te per poter vive­re in con­di­zio­ni digni­to­se, in linea con le richie­ste con­te­nu­te nel­la Rac­co­man­da­zio­ne del Con­si­glio UE 92/441/CEE del 24 giu­gno 1992”, nel­la qua­le (qua­si ven­ti­cin­que anni fa) si impo­ne­va l’a­do­zio­ne di misu­re riguar­dan­ti il red­di­to mini­mo garan­ti­to che solo il nostro Pae­se ha pun­tual­men­te e insi­sten­te­men­te disat­te­so (per­ché la Gre­cia, uni­co altro Pae­se lati­tan­te, sta intro­du­cen­do una for­ma di RMG entro il 2016).

Ennesima misura settoriale

E allo­ra: non avreb­be­ro fat­to meglio, mag­gio­ran­za par­la­men­ta­re e Gover­no, a ricor­da­re que­sto ultra-qua­ran­ten­na­le ritar­do ita­li­co (col­pa di quarant’anni di mal­go­ver­no: una vol­ta tan­to avreb­be­ro avu­to ragio­ne!) e dire che è mol­to dif­fi­ci­le por­ta­re il nostro siste­ma di Wel­fa­re al livel­lo uni­ver­sa­li­sti­co del model­lo socia­le euro­peo, intro­dot­to decen­ni fa negli altri Pae­si del­la vec­chia Euro­pa con­ti­nen­ta­le e non? E pro­prio per que­sti moti­vi si par­te da una misu­ra anco­ra una vol­ta estre­ma­men­te set­to­ria­le, cate­go­ria­le, come del resto è da sem­pre il nostro affa­ti­ca­to Sta­to socia­le, infar­ci­to da non sem­pre tra­spa­ren­ti sog­get­ti del­le diver­se for­me di inter­me­dia­zio­ne, spes­so intrap­po­la­ti in reti paras­si­ta­rie che navi­ga­no negli inter­sti­zi cari­ta­te­vo­li e assi­sten­zia­li­sti­ci del Wel­fa­re ita­li­co. Ma la cari­tà e l’assistenzialismo non devo­no far par­te di azio­ni pub­bli­che mira­te inve­ce a pro­muo­ve­re, tute­la­re e garan­ti­re l’autonomia del­le per­so­ne in con­di­zio­ni pro­tet­te (per ripren­de­re una cele­bre for­mu­la spes­so uti­liz­za­ta dal com­pian­to giu­sla­vo­ri­sta Mas­si­mo D’Antona).

Workfare vs. Welfare

Eppu­re, anche qui, sem­pre a pen­sar male (che spes­so ci si indo­vi­na, ci ricor­da­va la stes­sa fon­te), appa­re con­fi­gu­ra­to un mec­ca­ni­smo pen­sa­to per inse­ri­re i frui­to­ri di que­sta misu­ra in una sor­ta di mer­ca­to del lavo­ro di secon­do gra­do e livel­lo, essen­do vin­co­la­ti a pre­sta­zio­ni lavo­ra­ti­ve pas­san­do per un “pro­get­to per­so­na­liz­za­to di atti­va­zio­ne e di inclu­sio­ne socia­le e lavo­ra­ti­va” al qua­le dovreb­be­ro pen­sa­re “équi­pe inter­di­sci­pli­na­ri” che andreb­be­ro a mol­ti­pli­ca­re buro­cra­zia e inter­me­dia­zio­ne, inve­ce di sem­pli­fi­ca­re e ren­de­re più effi­cien­te la misu­ra in questione.

Insom­ma, non solo non c’è la mini­ma ombra di “red­di­to mini­mo garan­ti­to”, ma si rischia da una par­te di finan­zia­re un appa­ra­to di gover­no e ammi­ni­stra­zio­ne del­la pover­tà, una sor­ta di gover­nan­ce pri­va­to-pub­bli­ca del “rischio esclu­sio­ne socia­le”, e dall’altra di model­la­re que­sta misu­ra nel sen­so di un Work­fa­re, con il rischio di pre­ci­pi­ta­re dal­la trap­po­la del­la pover­tà alla trap­po­la del lavo­ro pove­ro, pove­ris­si­mo. In un Pae­se dove il pas­sag­gio dal Vou­cher-buo­no lavo­ro (mai che sia un “buon lavo­ro”, degna­men­te retri­bui­to!) al lavo­ro gra­tui­to rap­pre­sen­ta la mise­ra con­di­zio­ne di vita di milio­ni di per­so­ne, esclu­se da una qual­sia­si, anche qui mini­ma, cit­ta­di­nan­za sociale.

E fa rab­bia che una depu­ta­ta come Tit­ti Di Sal­vo, noto­ria­men­te atten­ta alla tema­ti­ca del red­di­to mini­mo e – a quan­to ci risul­ta – fir­ma­ta­ria del­la pro­po­sta di leg­ge sul RMG pre­sen­ta­ta da SEL solo qual­che anno fa, sem­pre in que­sta legi­sla­tu­ra, tac­ci le for­ze che cri­ti­ca­no il “DdL pover­tà” come “benal­tri­ste”, quan­do dovreb­be esse­re la pri­ma a sape­re, pro­prio per­ché fir­ma­ta­ria di un testo che ave­va come para­me­tro di rife­ri­men­to la Car­ta dei dirit­ti fon­da­men­ta­li dell’UE e le altre indi­ca­zio­ni comu­ni­ta­rie, che nel “DdL pover­tà” di tut­to si sta par­lan­do tran­ne che di red­di­to minimo.

Strumento di libertà o gestione della povertà?

E allo­ra, ripro­met­ten­do­ci di tor­na­re sul DdL, e sul RMG, con mag­gio­re cal­ma, intan­to ci si limi­ta a rin­via­re ad una recen­te pub­bli­ca­zio­ne a cura del Basic Inco­me Net­work – Ita­lia, non a caso tito­la­ta: Un red­di­to garan­ti­to ci vuo­le! Ma qua­le? Stru­men­to di liber­tà o gestio­ne del­le pover­tà. Lì si potreb­be comin­cia­re a sco­pri­re che il RMG è uno stru­men­to, non solo di con­tra­sto alla pover­tà e all’esclusione socia­le, ma soprat­tut­to di pro­mo­zio­ne di un rap­por­to di mag­gio­re fidu­cia tra cit­ta­di­ni e isti­tu­zio­ni, nel­la tute­la uni­ver­sa­li­sti­ca di vite degne di esse­re vis­su­te, per poter dire “no” ai ricat­ti e pro­muo­ve­re la pro­pria auto­de­ter­mi­na­zio­ne esi­sten­zia­le in una rela­zio­ne coo­pe­ra­ti­va con il resto del­la socie­tà. E alla fine si sco­pri­reb­be anche che stru­men­ti uni­ver­sa­li­sti­ci di Wel­fa­re, come il soste­gno al red­di­to (Inco­me Sup­port) e il sus­si­dio uni­ver­sa­le di disoc­cu­pa­zio­ne (the Dole, in ger­go), sono ser­vi­ti, nell’Inghilterra degli anni Ses­san­ta e Set­tan­ta, a met­te­re insie­me pri­ma Rol­ling Sto­nes e poi The Clash.

Maga­ri il nostro Pre­si­den­te del Con­si­glio, così osses­sio­na­to dall’essere neces­sa­ria­men­te pop, potreb­be con­vin­cer­si a intro­dur­re final­men­te il RMG, anche se poi dovrà fare i con­ti con deri­ve rock’n’roll e, soprat­tut­to, punk.

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