Oggi è la giornata dei muri, in un periodo in cui di muri si sente parlare sempre più spesso. Dall’Ungheria, all’Austria, a Calais, passando per i confini italiani. Quegli stessi confini che, stando a quanto rilevato da Demos, gli italiani vorrebbero chiudere, limitando o eliminando la libertà di circolazione prevista dal trattato di Schengen.
La domanda sorge spontanea: quali confini dovremmo chiudere? Le opzioni date dalla geografia sono due. O costruiamo muri sulle coste italiane e spariamo ai migranti, oppure costruiamo muri al confine alpino. In questo secondo caso, di fatto l’unico praticabile, ci condanneremmo da soli chiudendoci dalla parte sbagliata del muro, la parte che un sacco di migranti vorrebbero lasciare per recarsi verso il nord Europa. Un assaggio della chiusura alpina lo stiamo già osservando a Como, ad esempio.
Di fronte alle nostre titubanze, l’iniziativa è arrivata direttamente dalla Svizzera. Con il referendum tenutosi ieri promosso da UDC e Lega dei Ticinesi, che pur non avrà immediati effetti pratici, si è sancito un principio: “prima gli svizzeri”, in particolare nell’accesso al mercato del lavoro. Il riferimento non è ai migranti eritrei o sudanesi, però, ma ai 62mila frontalieri italianissimi e lombardissimi che passano la frontiera ogni giorno per lavorare in Svizzera. E sarebbero loro, italianissimi e lombardissimi, a causare un generale impoverimento del mercato del lavoro.
La fiera dei paradossi, insomma, per noi italiani (e per noi lombardi): la Svizzera innalza un muro (metaforico, per ora) utilizzando uno slogan che ricorda il “Prima il nord!” maroniano e il “Prima gli italiani!” salviniano. Slogan che ci hanno condannati — scrive Giulio Cavalli — a «perdere lo sguardo generale sul mondo», perché «il problema non calcolato dai leghisti è che c’è vita anche più a nord della Lombardia».
Non c’è nulla di cui stupirsi, però. Quando si apre una breccia che sancisce una discriminazione, anche se questa può apparire piccola e insignificante, si apre a uno scivolamento continuo che si autoalimenta e che non si sa dove posso andare a finire. Forse è anche per questa ragione che registriamo, al momento, il clamoroso e imbarazzante silenzio di Matteo Salvini: sulla sua frequentatissima pagina Facebook si parla di ladri nordafricani, di Renzi e del referendum, di Fiorentina-Milan.
Un suggerimento ci sentiamo di darlo noi, a Matteo Salvini. In un articolo pubblicato ieri da Pagina99 si cita uno studio di Giovanni Peri, docente di Economia all’Università della California, che dice una cosa molto semplice. Dall’analisi di «27 indagini scientifiche condotte tra il 1982 e il 2013, che hanno analizzato gli effetti dell’immigrazione sullo stipendio degli autoctoni, la maggioranza assegna all’aumento del numero dei migranti un’incidenza media che oscilla tra ‑0,1 e 1». Effetti perciò prossimi allo zero, o di poco positivi.
Potrebbe citare questo studio, Matteo Salvini, e applicarlo anche al caso italiano, per dire.