È successo tutto a cavallo delle feste, coperto dal frastuono dei tappi di spumante e dei canti natalizi, eppure a Reggio Calabria si è consumata una di quelle storie che rimangono incastrate tra i peli della cronaca locale e invece dovrebbe stare sulle prime pagine dei giornali nazionali. Lui è Gaetano Caminiti detto Franco, commerciante reggino, una vita passata a schivare minacce, incendi, tentativi di omicidio, auto saltate in aria, negozio bruciato e un figlio trascinato mezzo morto fuori dalle fiamme. Una vita di minacce quella di Caminiti come succede a molti, troppi, che in questo Paese decidono di denunciare la criminalità organizzata che bussa per diventare socia occulta. Caminiti denuncia, testimonia e contribuisce ad arresti e condanne. Non so voi ma io continuo a credere che gente così, in un Paese ridotto così come siamo messi noi sul tema delle mafie, sarebbe da inserire subito nel prodotto interno lordo della dignità di una nazione.
A Caminiti ad agosto invece decidono di togliere la scorta. “Non c’è più pericolo” gli dicono dal ministero. Se ci pensate dovrebbe essere un momento meraviglioso per chi vive da anni tra le maglie strette della paura quello in cui gli dicono che può stare tranquillo. Ma bisognerebbe fidarsi dello Stato, bisognerebbe. E invece il 29 dicembre, qualche giorno fa, Franco Gaetano Caminiti rientra a casa la sera dopo il lavoro e viene accolto da diversi colpi di pistola mentre stava parcheggiando l’auto. Buchi sulla fiancata, vetri polverizzati: roba da film. Lui si mette al riparo e riesce a scamparla. Cronaca di una fine anno di un uomo che “non corre più pericolo”.
Continuo a credere che (nonostante il morbido silenzio di qualche associazione antimafia che conta) questo Governo (in tutte le sue diverse ma similissime versioni copiative) stia facendo il deserto sui temi della protezione delle persone esposte. Continuo a credere che i responsabili (vice ministro Bubbico in testa) debbano ringraziare l’allentamento della curiosità antimafiosa che negli anni passati sarebbe inorridita per molto meno. Continuo a credere che qualcuno dovrebbe spiegarci, ma spiegarcelo bene, come possa succedere che in Calabria il condannato Scopellitti continui a viaggiare scortato con due auto blindate e Caminiti (ma è uno dei molti nelle stesse condizioni) debba affidarsi alla buona sorte.
Basta. Davvero. Basta. Che non sia un 2016 bis.