Il tribunale di Milano dice che bisogna accogliere anche chi scappa dalla fame

Migranti economici o rifugiati? La questione è spinosa, la distinzione è difficile - a volte impossibile -, e spesso si presta a fini secondari, che non sono quelli della tutela delle persone e dei loro diritti.

Migran­ti eco­no­mi­ci o rifu­gia­ti? La que­stio­ne è spi­no­sa, la distin­zio­ne è dif­fi­ci­le — a vol­te impos­si­bi­le -, e spes­so si pre­sta a fini secon­da­ri, che non sono quel­li del­la tute­la del­le per­so­ne e dei loro dirit­ti. Per­ché se la distin­zio­ne è dif­fi­ci­le, al con­tra­rio è mol­to sem­pli­ce dif­fe­ren­zia­re a paro­le, rim­pol­pan­do la reto­ri­ca del­l’in­va­sio­ne, o dif­fe­ren­zia­re sul­la base del­la nazio­ne di pro­ve­nien­za, scor­dan­do­si che il dirit­to a rice­ve­re pro­te­zio­ne è un dirit­to indi­vi­dua­le, che non può esse­re lega­to a flus­si e nem­me­no alla pro­pria pro­ve­nien­za, ma deve tene­re con­to del­la con­di­zio­ne del sin­go­lo migran­te, dei rischi ai qua­li è espo­sto in patria, del viag­gio che ha com­piu­to, dei luo­ghi attra­ver­so i qua­li è tran­si­ta­to. Scap­pa­re da un pae­se in cui non ci sono con­flit­ti ma tra­scor­re­re un anno in una pri­gio­ne libi­ca solo per­ché si è clan­de­sti­ni è moti­vo suf­fi­cien­te per ave­re protezione?

La Con­ven­zio­ne di Gine­vra (1951) rico­no­sce lo sta­tus di rifu­gia­to a colui che:

nel giu­sti­fi­ca­to timo­re d’essere per­se­gui­ta­to per la sua raz­za, la sua reli­gio­ne, la sua cit­ta­di­nan­za, la sua appar­te­nen­za a un deter­mi­na­to grup­po socia­le o le sue opi­nio­ni poli­ti­che, si tro­va fuo­ri del­lo Sta­to di cui pos­sie­de la cit­ta­di­nan­za e non può o, per tale timo­re, non vuo­le doman­da­re la pro­te­zio­ne di det­to Stato.

La nostra Costi­tu­zio­ne (art. 10), inve­ce, crea una fat­ti­spe­cie mol­to più ampia:

Lo stra­nie­ro, al qua­le sia impe­di­to nel suo pae­se l’ef­fet­ti­vo eser­ci­zio del­le liber­tà demo­cra­ti­che garan­ti­te dal­la Costi­tu­zio­ne ita­lia­na, ha dirit­to d’a­si­lo nel ter­ri­to­rio del­la Repub­bli­ca, secon­do le con­di­zio­ni sta­bi­li­te dal­la legge.

Atten­zio­ne al par­ti­co­la­re: le liber­tà garan­ti­te dal­la nostra Costi­tu­zio­ne, non dal­la Costi­tu­zio­ne del­lo Sta­to di cui è cit­ta­di­no lo straniero.

La distin­zio­ne si è fat­ta ancor più dif­fi­ci­le nei gior­ni scor­si, quan­do la pri­ma sezio­ne civi­le del Tri­bu­na­le ordi­na­rio di Mila­no si è pro­nun­cia­ta rispet­to al ricor­so riguar­dan­te un dinie­go nel rico­no­sci­men­to del­lo sta­tus di rifu­gia­to a SWOBCR92S21Z317Z, un ragaz­zo nato in Gam­bia nel 1992.

Nel­l’or­di­nan­za il giu­di­ce, sostan­zial­men­te, con­fer­ma che a SWOBCR92S21Z317Z non si può rico­no­sce­re lo sta­tus di rifu­gia­to, non si può rico­no­sce­re la pro­te­zio­ne sus­si­dia­ria, non si può rico­no­sce­re dirit­to d’a­si­lo ex art. 10 del­la Costi­tu­zio­ne, ma che si può rico­no­sce­re la pro­te­zio­ne uma­ni­ta­ria.

Nel­l’af­fer­ma­re tale dirit­to, si fa rife­ri­men­to a una sen­ten­za del­la Cor­te di Cassazione:

“Con­di­zio­ne per il rila­scio di un per­mes­so di natu­ra uma­ni­ta­ria D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 5, com­ma 6 è il rico­no­sci­men­to di una situa­zio­ne di vul­ne­ra­bi­li­tà da pro­teg­ge­re alla luce degli obbli­ghi costi­tu­zio­na­li ed inter­na­zio­na­li gra­van­ti sul­lo Sta­to italiano”.

E pro­se­gue:

Van­no esa­mi­na­ti i dirit­ti che più diret­ta­men­te inte­res­sa­no la sfe­ra per­so­na­le ed uma­na del ricor­ren­te e che più gra­ve­men­te rischia­no di esse­re com­pro­mes­si nel Pae­se di pro­ve­nien­za. Trat­ta­si del dirit­to alla salu­te e del dirit­to all’alimentazione […]. Appa­re inve­ro incon­fu­ta­bi­le che la com­pro­mis­sio­ne del dirit­to alla salu­te e del dirit­to all’alimentazione com­por­ta gra­vi situa­zio­ni di vul­ne­ra­bi­li­tà giu­ri­di­ca­men­te rile­van­ti quan­to al rico­no­sci­men­to del­la pro­te­zio­ne uma­ni­ta­ria […]. Si badi infat­ti che la salu­te e l’accesso all’alimentazione sono dirit­ti ina­lie­na­bi­li dell’individuo, appar­te­nen­ti all’uomo in quan­to tale, dal momen­to che deri­va­no dall’affermazione del più uni­ver­sa­le dirit­to alla vita ed all’integrità fisi­ca di cui rap­pre­sen­ta­no una del­le decli­na­zio­ni principali.

Dopo aver elen­ca­to gli obbli­ghi costi­tu­zio­na­li e inter­na­zio­na­li, e dopo aver for­ni­to dati sul­la situa­zio­ne eco­no­mi­ca e socia­le in cui ver­sa il Gam­bia, la con­clu­sio­ne è di una bana­li­tà qua­si rivo­lu­zio­na­ria:

E la pro­va che le con­di­zio­ni di vita del ricor­ren­te nel Pae­se di ori­gi­ne sono del tut­to ina­de­gua­te è in re ipsa. Appa­ri­reb­be infat­ti con­trad­dit­to­ria ed inve­ro­si­mi­le la scel­ta del ricor­ren­te di per­cor­re­re un viag­gio così tan­to lun­go, incer­to e rischio­so per la pro­pria vita, se nel Pae­se di ori­gi­ne godes­se di con­di­zio­ni di vita sopra la soglia di accet­ta­bi­li­tà ed adeguatezza.

La sen­ten­za inte­gra­le è dispo­ni­bi­le qui, la noti­zia inve­ce l’ho appre­sa tra­mi­te Meltingpot.org.

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La stra­te­gia del capi­ta­li­smo è quel­la di ato­miz­za­re le riven­di­ca­zio­ni, met­ter­ci gli uni con­tro gli altri, indi­vi­dua­re un nemi­co invi­si­bi­le su cui svia­re l’attenzione, sosti­tui­re la lot­ta col­let­ti­va con tan­te lot­te indi­vi­dua­li che, pro­prio per que­sto, sono più debo­li e più faci­li da met­te­re a tacere.
Ma la gran­de par­te­ci­pa­zio­ne allo scio­pe­ro del 13 dicem­bre dimo­stra che la dimen­sio­ne col­let­ti­va del­la nostra lot­ta, del­le nostre riven­di­ca­zio­ni, non è perduta.