25 novembre — Non è cambiato nulla

È pas­sa­to un anno dal fem­mi­ni­ci­dio di Giu­lia Cec­chet­tin e non è cam­bia­to nul­la. La con­tri­zio­ne per la sua mor­te è rapi­da­men­te sta­ta rele­ga­ta alle colon­ne degli edi­to­ria­li, le pro­mes­se di prov­ve­di­men­ti da par­te del gover­no sono dura­te giu­sto il tem­po di un’altra tor­na­ta elettorale.

Il patriar­ca­to non c’è più, dico­no. Roba d’altri tem­pi, dico­no. Casi iso­la­ti. Eppu­re la vicen­da di Gisè­le Peli­cot ci rac­con­ta il con­tra­rio, che il patriar­ca­to è vivo e vege­to e che si nascon­de in bel­la vista nel­le nostre case, nei nostri uffi­ci, nel­le nostre stra­de. E anzi si è evo­lu­to, ha assun­to una for­ma rea­zio­na­ria, cer­ca di ribel­lar­si alle nostre pre­te­se di dirit­ti e ugua­glian­za, e lo fa attra­ver­so nuo­ve e più per­ver­se for­me di vio­len­za, attra­ver­so una domi­na­zio­ne che vuo­le ridur­ci all’impotenza nel fisi­co e nel­le parole.

Il patriar­ca­to non c’è più, dico­no. Eppu­re con­ti­nuia­mo a esse­re ucci­se, vio­len­ta­te, zit­ti­te. Eppu­re le nostre richie­ste sono sem­pre le stes­se, da anni.
Non voglia­mo più aver pau­ra di usci­re la sera, di pren­de­re il tre­no, l’autobus, la metro, di anda­re a scuo­la o a lavo­ra­re, di tor­na­re a casa tar­di la not­te, di far car­rie­ra, di esse­re più bra­ve a scuo­la, di lau­rear­ci pri­ma, di gua­da­gna­re di più.

Non voglia­mo più dover pen­sa­re a come sia­mo vesti­te, non voglia­mo più dover con­di­vi­de­re la posi­zio­ne con le ami­che, né copri­re il cock­tail con la mano, non voglia­mo più guar­dar­ci attor­no pri­ma di scen­de­re dall’auto.

Non voglia­mo più ave­re pau­ra di lascia­re un part­ner, di rifiu­ta­re una avan­ce, di dire di no. Non voglia­mo più dover dir­lo due, tre, die­ci vol­te di no pri­ma di esse­re pre­se sul serio per­ché “dai stai solo facen­do la dif­fi­ci­le, mica ti man­gio” (spoi­ler: a vol­te sì).
Non voglia­mo più ride­re alle bat­tu­te ses­si­ste, non voglia­mo più “eddai fam­me­lo un sor­ri­so, che sei più bella”.
Basta “potreb­be esse­re tua figlia, tua sorel­la, tua madre”, basta dover­ci pen­sa­re come paren­ti per trat­tar­ci con rispetto.
Basta divi­der­ci in san­te e putt*ne — quel­le che non la dan­no abba­stan­za (se la sono cer­ca­ta) e quel­le che la dan­no trop­po (se la sono cer­ca­ta pure loro).

Non voglia­mo più esse­re igno­ra­te da vive e pian­te da mor­te, men­tre intor­no nien­te cam­bia.
Non sia­mo pre­de, non voglia­mo più esse­re cacciate.

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