Si deve “trasformare l’emergenza in un’opportunità”: erano passate poche ore dalla chiusura delle scuole, quando la Ministra dell’Istruzione, nella sua prima dichiarazione dopo il lockdown, pronunciava queste parole. L’opportunità cui alludeva Lucia Azzolina era la possibilità di approfittare dell’emergenza per accelerare il processo di “innovazione” tecnologica su cui si è costruita molta della retorica “riformista” degli ultimi anni di chiacchiere e pessima politica sulla (pelle della) scuola. Negli incauti auspici della Ministra, l’emergenza ci avrebbe dato l’opportunità di vincere le tradizionali resistenze di insegnanti refrattarie e refrattari alle nuove tecnologie, di accelerare con la copertura della banda larga in ogni angolo del Paese, di indurre le scuole a dotarsi di tutti gli strumenti necessari per l’ormai non più procrastinabile “innovazione” della didattica. Oggi, dopo tre mesi di cosiddetta Didattica a Distanza, e a due mesi dall’annunciato rientro in classe e dal ritorno alla didattica in presenza, è evidente anche per la maggior parte dei “non addetti ai lavori” (chi vive nella scuola lo ha sempre saputo) che l’emergenza è servita soprattutto a mettere davanti agli occhi di tutti una sedimentata cruda realtà: la scuola è da oltre vent’anni “al centro dell’azione di governo”, nel senso che tutti i governi che si sono succeduti l’hanno depredata, tormentata di “riforme”, disprezzata, umiliata. E il digital divide c’entra ben poco… L’emergenza, nella gran parte delle scuole italiane, è in atto da anni: è un tipico caso di emergenza permanente. I problemi strutturali delle scuole sono gravissimi e diffusi, soprattutto al Sud, e non hanno niente a che fare con l’emergenza da pandemia: la pandemia ha solo avuto l’effetto di farli venire alla luce nella loro drammaticità. Insegno a Palermo in un Liceo di Brancaccio, il quartiere dove viveva ed è stato assassinato Padre Pino Puglisi. La mia scuola, il Liceo “Danilo Dolci”, è ospitata in un edificio confiscato ai prestanome dei Graviano, i boss di Brancaccio che hanno fatto ammazzare Puglisi: nei vent’anni di vita di questa scuola gli enti preposti (Provincia Regionale prima e Città Metropolitana poi) ci hanno costretto ad inventarci le soluzioni più fantasiose per fare entrare tutte le nostre classi nelle insufficienti e anguste aule disponibili (classi itineranti, orario su cinque giorni con la scuola aperta sei giorni e giorno libero differenziato per i vari corsi, doppi turni), mentre non solo non si è speso un euro per le migliorie necessarie, almeno quelle per adeguare gli ambienti alle normative sulla sicurezza, ma la Provincia — per un edificio confiscato alla mafia — ha pagato per decenni centinaia di migliaia di euro di “affitto” all’amministratore giudiziario. Abbiamo fatto decine di manifestazioni, dirette Rai, incontri con tutte le istituzioni locali e con diversi prefetti succedutisi negli anni: siamo stati lasciati costantemente al nostro destino, ci siamo sentiti rispondere “non prendete iscrizioni”, in un quartiere assai popoloso in cui ci sono solo due licei, dove siamo diventati un presidio permanente di cultura e di cultura anti-mafiosa. Abbiamo resistito e siamo ancora in piedi: l’anno prossimo avremo 61 classi (5 più di quest’anno) e 1200 studentesse (in grande maggioranza) e studenti e due succursali. Non sappiamo come faremo a fare entrare tutte le classi e come fare entrare in sicurezza ragazze e ragazzi in aule spesso troppo piccole. Non lo sappiamo ora come non lo abbiamo saputo praticamente negli ultimi 10/15 anni. Perché vi racconto tutto questo? Perché tutto quello che abbiamo fatto, tutte le battaglie che abbiamo combattuto negli anni servivano per fare avere alle nostre ragazze e ai nostri ragazzi di Brancaccio le stesse opportunità, la stessa “offerta formativa” (mi scuso per il linguaggio) dei licei dei loro coetanei più fortunati delle scuole del resto di Palermo e, soprattutto, del resto d’Italia. E abbiamo vinto la frustrazione per le risposte che abbiamo continuato a non ricevere per i nostri bisogni essenziali (aule dignitose e sicure, palestra, laboratori), perché sapevamo che noi chiedevamo quello a cui le nostre ragazze e i nostri ragazzi hanno diritto, perché noi eravamo e siamo i difensori della scuola della Costituzione e loro, gli Enti Preposti, erano i fuorilegge. E il “così è, se vi pare” di cui trasudavano i loro silenzi (e, talvolta, le loro arroganti parole) non ci hanno mai indotto alla rassegnazione, perché noi eravamo dalla parte del giusto e loro da quella dell’errore. Oggi, con la corsa all’autonomia differenziata, si vuole infliggere alla scuola la diseguaglianza formativa per legge. Con l’ingannevole foglia di fico dei Livelli Essenziali di Prestazione (LEP) di cui conosciamo in anticipo gli esiti, che il Covid-19 ci ha sbattuto drammaticamente in faccia, mostrandoci che cosa ha significato regionalizzare il Sistema Sanitario Nazionale, con i suoi Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), insieme ai tagli per decine di miliardi dei finanziamenti dello Stato. Con i livelli essenziali di prestazione, loro, gli Enti Preposti, si troverebbero nelle condizioni di continuare a non darci quello che non ci hanno mai dato, per di più protetti dalla possibilità, stabilita per legge, di diversificare i livelli delle prestazioni, sulla base delle diverse situazioni “oggettive”. Allora, vogliamo davvero “trasformare l’emergenza in un’opportunità”? Bene: smettiamola con l’imbroglio dell’innovazione e cogliamo l’opportunità per fare funzionare ciò che è stato messo colpevolmente “fuori uso”. Facciamo arrivare i soldi (i tanti soldi che arriveranno – e non saranno “gratis” – per la “ripartenza”) per realizzare gli interventi strutturali che sono stati negati e per restituire le risorse che sono state rapinate negli ultimi 20 anni e passa alla scuola. Realizziamo interventi per edifici scolastici sicuri, investiamo le risorse necessarie per l’eliminazione (reale) delle classi pollaio e per la conseguente assunzione delle centinaia di migliaia di precarie/i (docenti e non docenti) di cui le scuole hanno stabilmente bisogno: “trasformiamo l’emergenza in opportunità”. Roberto Alessi, docente del Liceo Danilo Dolci di Palermo
Congresso 2024: regolamento congressuale
Il congresso 2024 di Possibile si apre oggi 5 aprile: diffondiamo in allegato il regolamento congressuale elaborato dal Comitato Organizzativo.