Era il 24 giugno 2019, quando a Losanna ci assegnarono le Olimpiadi invernali con l’abbinamento Milano – Cortina. Poco dopo è arrivato il Coronavirus che ha scompaginato le nostre vite e che oggi, a fronte di una situazione che ancora non è assolutamente migliorata, ci impone di guardare al futuro con occhi diversi.
Cambiano o dovrebbero cambiare le priorità, ma per i Giochi invernali tutto sembra fermo agli anni ’80, quando le opere per questi appuntamenti doveva essere organizzati all’insegna dell’opulenza senza il ben che minimo rispetto per le questioni ambientali e soprattutto senza il ben che minimo rispetto per il mondo della montagna.
Quello che vedremo nel 2026 si deciderà nei prossimi mesi: la Fondazione deve farsi approvare dal CIO il piano definitivo che indica dove si disputeranno le gare, in quali impianti e con quali risorse. Peccato che queste riflessioni siano ovattate e coperte da uno strato di silenzio decisamente assordante.
L’idea che era stata portata a Losanna partiva da una collaborazione tra due Regioni, che doveva tenere insieme il rilancio del sistema Alpi e anche l’ambizione di non lasciare qua e là cattedrali nel deserto (o meglio nel ghiaccio!). Erano 14 le sedi di gara, individuate con il manuale Cencelli suddivise tra Lombardia e Veneto e con una piccolissima percentuale in Trentino.
Come nella migliore tradizione italiana, sui costi si sono costruite tante leggende metropolitane. Le spese per l’organizzazione parlano di 1.362 milioni di euro, mezzo miliardo come contributo del CIO e il resto tra sponsorizzazioni, merchandising, biglietti. Stiamo già sforando: appena siamo passati dalle visioni anni ’80 ai progetti esecutivi i conti non tornano più. E anche nella Fondazione ammettono che la stima era un po’ troppo ottimistiche e che l’importo finale si aggirerà attorno a 1,5 miliardi.
Una delle dichiarazioni più fantasiose e squisitamente retoriche che abbiamo sentito da Sala, Zaia, Fontana e compagnia sciistica è stata “Ma ci romperemo la schiena pur di non chiedere denaro allo Stato e alle Regioni, come hanno fatto in passato”.
Perché a conti fatti: a finanziare il rifacimento di palazzetti e piste, infatti, sono le due Regioni coinvolte e le province di Trento e Bolzano. Con soldi pubblici che, arrotondando per difetto, dovrebbero assestarsi sui 231 milioni. Ma la vicenda non finisce qui: la Lega (che governa le due Regioni) intende usare i Giochi come un volano politico, e tramite un suo emendamento ha inserito nell’ultima Manovra un fondo statale di 145 milioni “per opere connesse agli impianti sportivi delle Olimpiadi invernali”. Formula magica vaga quanto basta per farvi rientrare la qualunque.
E qui Regioni e Fondazione giocano a rimpiattino. Se le prime vogliono spendere questi soldi per gli impianti, la Fondazione al momento non inserisce questi importi nel suo bilancio parlando semplicemente di allestimento delle sedi, gli alloggi, l’amministrazione, le cerimonie, etc.
Questo al netto degli interventi su viabilità e trasporti, con il governo che ha già stanziato un miliardo (473 milioni per Lombardia, 325 Veneto), Palazzo Lombardia ne mette altri 574, la giunta di Zaia 213. Totale: 3,8 miliardi. Per ora.
I ben informati dicono che a Losanna, nella sede del CIO, siano abbastanza shockati. La sobrietà e la sostenibilità economica e ambientale messa nero su bianco nel progetto iniziale è stata completamente coperta da colate di cemento e da fiumi di soldi per spese e opere decisamente inutili.
Confermano anche che stanno facendo i confronti con altre realtà. Ad esempio Parigi 2024 che a fronte della Pandemia ha ridotto di 400 milioni, tagliando alcune opere come lo stadio acquatico, l’impianto del rugby. Anche i giapponesi hanno risparmiato 280 milioni di dollari per Tokyo 2020.
Qui invece il modus operandi basato sulla “grandeur” padana non ammette passi indietro!
E gli esempi, purtroppo sono evidenti: Pista da bob “Eugenio Monte” a Cortina. Inaugurata del 1924, abbandonata nel 2008. Stima dei costi 38 milioni, in realtà ne serviranno quasi il doppio con 8 per assicurare la gestione della stessa a Olimpiadi terminate. Una pista che secondo i tecnici della regione perderà circa 400 mila euro all’anno quando verrà trasformata, ad Olimpiadi finite, un Centro Federale invernale e un parco avventura estivo. Alla faccia del rilancio della Montagna.
Peccato che sempre dalle parti del CIO e dalle parti dove si usa il buon senso, emerge che tutte le piste di bob realizzati nel mondo in occasione di questi eventi siano in perdita. Tutti. Le uniche due in attività sana post olimpiadi sono a Saint Moritz e Innsbruck, ma ai Governatori Padani non va assolutamente giù l’idea di usare questi impianti. Anzi, giudicano abbastanza risibili le motivazioni della gestione in deficit.
Una seconda questione riguarda il raddoppio delle sedi. Prendiamo ad esempio lo sci alpino: le gare maschili a Bormio e quelle femminili a Cortina e anche qui Cencelli ringrazia. Questa scelta comporterà l’aggravio del budget, ma anche qui poco importa!
Sull’Ovale di pattinaggio invece le riflessioni stanno raggiungendo livelli stratosferici.
L’idea originaria era di ammodernare il centro di Baselga di Piné, con un investimento previsto di 26 milioni, che però ha la pista all’aperto e per coprire l’impianto ci vogliono 70 milioni circa. Negli ultimi vent’anni la specialità olimpica si è svolta sempre indoor, per evitare le variabili meteo. Ma anche qui i costi del post gestione l’impianto perderà tra i 570 e gli 830 mila euro all’anno.
Alla vigilia di Natale 2020, in piena pandemia la Fondazione si è fatta viva con la Federazione mondiale di pattinaggio (ISU) proponendo un’alternativa: convertire la pista di atletica dell’Arena Civica di Milano in un ovale ghiacciato, ancora un impianto all’aperto, salvo immaginare di inserire l’Arena Civica in un capannone nel pieno centro di Milano. Ci sarebbe l’Ovale Lingotto di Torino. L’ISU chiede di andare lì, in una struttura al chiuso e collaudata. Il presidente del Piemonte Cirio (Forza Italia) e la Sindaca Appendino (M5S) avevano dato la disponibilità degli impianti di Torino 2006. Apriti cielo. Il niet politico è immediato. Sia mai che la torta venga divisa con altri. A quanto pare il regno lombardo-veneto si è ricordato delle antiche rivalità con il regno sabaudo.
Infine, c’è un vecchio fantasma della politica italiana: il conflitto di interesse.
Malagò, Presidente del Coni, potrebbe redimere alcune questioni ma è anche membro del CIO e rappresentante della Fondazione Milano – Cortina. Uno e trino, che manco la Santissima Trinità!
La torta delle Olimpiadi deve fare gola ai Governatori Padani, ma non solo, se pensiamo al sindaco Sala che sull’affaire Arena Civica e su altri impianti ha la voce in capitolo, ma il suo silenzio lascia intendere che pure lui condivide lo stile grandeur con cui si sta ragionando sulle Olimpiadi.
Tutto queste riflessioni sono avvenute negli ultimi anni con una pandemia ancora in corso, che a quanto pare non ha insegnato assolutamente nulla, almeno in Italia.
Sarebbe stata auspicabile una riflessione diversa, più eticamente rispettosa riguardo alla gestione del denaro pubblico vista la situazione di crisi che imporrebbe di avere altre priorità e soprattutto una gestione diversa sull’uso razionale degli impianti e delle strutture. Il passato non insegna nulla e alla fine chi paga è sempre Pantalone.
È appena stato presentato il progetto per il Villaggio Olimpico a Milano, ennesima operazione cementificatoria presentata come rigenerazione urbana di Porta Romana. Un fiore all’occhiello per la coppia Fontana e Sala. Le dichiarazioni rilasciate sono prive ormai di qualsiasi credibilità e anche la parola green, buttata ogni tanto all’interno del discorso, può richiamare solo le pennellate di green washing tanto care sia al governatore lombardo sia al sindaco Sala che, ricordiamo, ha firmato la carta d’intenti dei Verdi Europei. Chissà cosa ne penseranno Bonelli e soci.