La grande manifestazione di domenica scorsa con 50 capi di governo “spinti” da almeno 3 milioni di persone a Parigi ha mostrato che l’Europa c’è: la risposta agli attentati terroristici avvenuti a Parigi è stata sentita come non mai.
Il messaggio con cui tanti hanno affermato di non aver paura del terrorismo e di voler riprendersi lo spazio di libertà violato dalla strage di Charlie Hebdo erano palpabili, secondo i presenti, insieme alla rinnovata coscienza del valore delle nostre democrazie e alla consapevolezza di avere qualcosa di importante per cui lottare.
Quello che abbiamo visto domenica può essere il segno di svolta per l’Europa, l’inizio di una nuova stagione, purché questa spinta si trasformi in una risposta politica concreta.
La fotografia scattata ai leader europei e mondiali è fortemente simbolica: si tratta di una rappresentazione impressionante di unità che non c’era mai stata. La differenza è palese: i diversi attentati terroristici avvenuti in passato nel nostro continente non avevano avuto una risposta simile.
Fuori dalla retorica molti hanno stigmatizzato la presenza di chi ha sfilato in quel corteo anche se in passato non ha dimostrato particolare attaccamento alla causa della libertà di parola o della lotta al terrorismo. Quello che è certo è che questi leader a Parigi sono andati e ci hanno messo la faccia partecipando ad una manifestazione il cui messaggio è chiarissimo: in futuro sarà possibile rinfacciare loro la foto di gruppo e chiedere comportamenti conseguenti.
Il rischio che non rimanga niente, che dai simboli non si costruiscano politiche, come notava Romano Prodi intervistato davanti all’Eliseo, è però concreto perché è difficile indicare ricette condivise per un fenomeno così complesso.
Sarebbe facile immaginare una risposta muscolare all’attentato. Marie Le Pen, leader del Front National e assente alla #MarcheRepublicaine, ha già chiesto la reintroduzione della pena di morte: per fortuna per ora la sua proposta è rimasta isolata e nessuno ha osato associarsi. Altri hanno pensato alla sospensione della libera circolazione, del trattato di Schengen, per reintrodurre controlli alle frontiere. Al vertice straordinario dei ministri dell’interno, tenuto a Parigi subito prima della manifestazione, la questione è stata suggerita dal ministro spagnolo Jorge Fernandez Diaz, mentre il collega francese Bernard Cazeneuve ha indicato solo “possibili modifiche”: per fortuna il titolare della Farnesina Paolo Gentiloni ha sdrammatizzato parlando di «regalo ai terroristi se si decidesse di limitare la libera circolazione» che rimane uno dei pilastri su cui è costruita l’integrazione europea.
Qualcuno ha immaginato anche l’arrivo di un “European Patriot Act”, omologo della legge che fu varata dagli USA dopo l’11 settembre con una decina di misure diverse di difesa contro il terrorismo, che però è stata giudicata incostituzionale in alcune sue parti da diverse corti federali.
In questa direzione va la ricetta di Angelino Alfano di “regolamentazione del web” con la possibilità di bloccare siti web italiani e stranieri “collegati al terrorismo” da parte delle forze di polizia, senza richiedere autorizzazioni alla magistratura (come già succede con il contestato regolamento AgCom per i siti colpevoli di violare il copyright).
Per ora le proposte in arrivo dopo il vertice europeo sono minimaliste: l’accesso alle liste dei passeggeri degli aerei che arrivano in Europa per intercettare velocemente i terroristi (va trovato un accordo con il Parlamento europeo che ha riserve riguardo alla privacy), un rafforzamento dello scambio di informazioni sulla base del sistema Schengen per fare in modo che i dati dei ricercati dalle polizie europee siano meglio condivisi da tutti gli stati membri, un potenziamento delle strutture europee di polizia e giudiziarie Europol ed Eurojust.
Insieme a queste potrebbe vedere la luce un coordinamento delle intelligence europee, come suggerito dal nostro Presidente del Consiglio.
Sappiamo che le crisi fanno crescere l’Europa, una prova ne è il fatto che dopo tanti anni è in arrivo quella che dovrebbe diventare la spina dorsale di una vera politica dell’immigrazione, che gli Stati non hanno mai dimostrato di volere. Vedremo quindi quali misure saprà prendere la presidenza lettone dell’UE che convocherà un consiglio straordinario dei ministri dell’Interno e della Giustizia prima del Consiglio europeo del 12 febbraio.
Un’Europa il cui nuovo slogan sia il controllo totale da parte dei governi delle vite dei cittadini sarebbe la ricetta sbagliata: restringere le libertà fondamentali, soprattutto in materia di libertà d’espressione, sarebbe una vittoria dei terroristi che volevano zittire Charlie Hebdo. Oltretutto è stato oramai dimostrato che la sorveglianza di massa non è un buon modo di contrastare la minaccia terroristica, esattamente come è dimostrato che non è fallito il modello di integrazione in Francia ma hanno fallito le politiche securitarie della destra. Non c’è uno scontro di civiltà all’interno dell’Europa ma uno scontro sociale: nelle balieu la rabbia non è identitaria, religiosa ma sociale, territoriale, perciò la risposta giusta, lungimirante, egoista è investire nell’uguaglianza e nel rispetto della diversità.
La reazione a questa strage sarebbe auspicabile quindi in questa direzione: l’Europa ne dovrebbe uscire con un’accentuazione dei suoi valori e con un confronto intensificato su di essi con tutti i propri interlocutori.
Valeva la pena insomma essere in Place de la République con il cartello #JeSuisCharlie se questo dovesse portare quell’unione politica tanto cercata, ad intraprendere quel percorso verso un governo europeo e istituzioni pienamente federali che possano sorreggere i nuovi compiti attribuiti al continente dalla globalizzazione. Purtroppo la statura dei leader europei attuali non fa ben sperare che un passo così importante possa essere compiuto a breve.