Il Ministro Poletti annuncia l’aumento di 79000 unità fra le nuove attivazioni contrattuali a tempo indeterminato nel periodo Gennaio-Febbraio 2015, a confronto con il medesimo periodo del 2014. Va da sé che sono dati parziali (il computo viene fatto per trimestre e la pubblicazione ufficiale del Ministero Lavoro avverrà solo a Giugno), tuttavia stiamo parlando di nuovi contratti a tempo indeterminato e dovremmo esserne felici, non è vero? Facendo un po’ di ricerca (difficile accedere al dato disaggregato), si può notare che:
1) a nuove attivazioni corrisponde in genere un certo numero di cessazioni (licenziamenti ma soprattutto pensionamenti);
2) Poletti divulga solo il primo dato (gli piace vincere facile);
3) il governo non è nuovo a queste semplificazioni: a Novembre, quando i dati del terzo trimestre 2014 fecero segnare un +7% per i nuovi contratti a tempo indeterminato, vennero fatte all’incirca le medesime considerazioni.
Nel primo bimestre di quest’anno, scrive La Stampa, le attivazioni di contratti standard sono state 303000 contro le 224000 del 2014. E’ stato pressoché riconosciuto unanimemente dagli osservatori più attenti (specie la stampa specialistica) che tale incremento è frutto dell’effetto molla derivante dall’entrata in vigore degli sgravi contributivi per le nuove assunzioni previsti dalla Legge di stabilità. Scrive Gianni Principe sul suo blog:
Era scontato che 8.000€ annui di beneficio generalizzato, per tutte le assunzioni a tempo indeterminato, avrebbero prodotto più assunzioni. Non solo, ma se i primi due mesi hanno dato questo risultato, senza Jobs Act, ci si devono aspettare ancora più assunzioni da marzo con il nuovo regime. Sarebbe davvero singolare che ciò non avvenisse, anche se non sempre le cose vanno come ci si aspetterebbe: chi l’avrebbe detto, per esempio, che dopo l’ulteriore liberalizzazione (e precarizzazione) per decreto dei contratti a tempo, che Poletti giustificava con la necessità di rilanciare le assunzioni, quei contratti sarebbero diminuiti anziché aumentare?
Qualche settimana fa, il presidente dell’Inps, Boeri, spiegava che a Gennaio erano state presentate domande di sgravio da ben settantaseimila aziende (la copertura non è presumibilmente sufficiente e presto verranno esauriti i fondi): il timore di restare fuori dai giochi ha indotto molti imprenditori a concentrare le assunzioni a Gennaio, al fine di presentare anzitempo la domanda di sgravio contributivo.
Una simile tendenza si può intravedere dai dati ufficiali, divulgati dal cosiddetto ‘Sistema di comunicazioni obbligatorie’ del Ministero del Lavoro. Nel secondo e terzo trimestre 2014, la crescita degli indeterminati era stata del 2 e del 7% (rispetto ai rispettivi periodi del 2013); la conclusione d’anno, invece, era risultata negativa (-2,5%) a confronto con un già lugubre IV trimestre 2013. La brusca frenata era quindi determinata dall’annuncio degli sgravi in Legge di Stabilità: la prospettiva dell’incentivo ha consigliato di attendere l’anno nuovo. Il conseguente boom è frutto di un semplice adattamento strategico. Il grafico che segue mostra il brusco arresto di una tendenza in crescita:
Tuttavia, la serie negativa dei primi trimestri continuava dal 2012 (2012/2011: ‑0.5%; 2013/2012: ‑11.5%; 2014/2013: ‑4%), una crescita a due cifre è un chiaro segnale di ripresa, secondo alcuni, e perciò val bene esultare nelle strade. La narrazione preminente ci dice che ‘i bei tempi stanno arrivando’ (“Good times are comin’, I hear it everywhere I go. Good times are comin’, but they sure comin’ slow” Neil Young, Vampire Blues). Ma occorre essere onesti e trattare le cifre all’interno del proprio contesto e non prenderle singolarmente come fa Poletti.
L’effetto molla (potremmo anche chiamarlo effetto click-day, per similitudine con quanto accade con il bando INAIL per le agevolazioni Isi, che di solito impiega circa mezz’ora a saturare l’offerta di finanziamenti) si sovrappone al consueto cattivo uso dei numeri ai fini della propaganda della crescita ormai-alle-porte. Già, perché accanto alle attivazioni di nuovi contratti, come detto, si registrano le cessazioni contrattuali. Per dissipare ogni dubbio circa la bontà del risultato del primo bimestre 2015 sarebbe necessario sapere il relativo numero dei contratti cessati, numero che per ora non è pubblico; numero che Poletti conosce ma sceglie di non divulgare. Nel 1° Trimestre 2014 erano state registrate 483925 cessazioni di contratti standard. Facendo un rapido bilancio fra attivazioni e cessazioni, nel medesimo periodo si è verificata una contrazione di contratti standard di 42 mila unità. Negli ultimi quattro anni, il bilancio attivazioni vs. cessazioni è sempre stato negativo:
In sostanza i numeri degli ultimi quattro anni sono leggermente drammatici e dovrebbero far tremare i polsi, altro che esultare: dal 2011 al 2014 i contratti a tempo indeterminato si sono ridotti di 1,5 milioni di unità (il ‘rimbalzino’ che ha fatto sobbalzare sulla sedia Poletti e tutto il governo incide per circa il 5%). Inoltre, il numero di cessazioni del IV trimestre 2014 è stato superiore dell’1% rispetto all’anno precedente: non accadeva dalla fine del 2012.
Per completezza d’indagine, posso dirvi che non sempre i posti di lavoro a tempo indeterminato sono stati rimpiazzati numericamente da contratti a termine. Ritornando ai dati ufficiali, aggregando in un’unica categoria le fattispecie contratto ‘a tempo determinato’, di ‘apprendistato’, di ‘collaborazione’ e altre forme (chiamiamoli contratti a termine), il rapporto fra contratti standard persi e contratti a termine creati è risultato superiore a 1 solo nel 2011 e nel 2014 (ma per poco, l’1%). E’ l’effetto della contrazione del mercato, che ha progressivamente espulso lavoratori a termine e non.
Secondo Gianni Principe, “sapremo solo col tempo, dunque, se il prevedibile aumento dei contratti a tempo indeterminato senza articolo 18, grazie al bonus, sarà tale da compensare la riduzione di quelli a tempo determinato. Perché se così non sarà, avremo una crescita della precarietà (unico dato certo che ci aspetta nel futuro) che non sarà neppure alleviata da un aumento della occupazione totale”.
Infatti, sia nel 2012 che nel 2013, i contratti a termine non hanno più compensato la perdita di contratti standard: a fronte di 100 cessazioni di contratti a tempo indeterminato, si sono verificate solo 87/82 nuove attivazioni di contratti a termine; nel 2014, su 100 cessazioni di contratti standard, i nuovi contratti a termine sono stati 101. Resta da capire se le statistiche ufficiali del 2015 permetteranno di discernere l’effetto Jobs Act, oppure se il nuovo contratto a tutele crescenti verrà classificato anch’esso come ‘a tempo indeterminato’. Poiché potremmo assistere ad ulteriori — immotivate — esultanze, mentre i numeri continueranno da soli a recitare il solito motivo.