Le dichiarazioni di Matteo Renzi degli ultimi due giorni, tra interviste a Repubblica e intervento in Direzione nazionale del Partito Democratico, si sono stratificate creando confusione e allontanando lo sguardo dalla legge delega in discussione al Senato, che al momento resta l’unico documento, nero su bianco, sul quale poter discutere. Il confronto tra dichiarazioni e dati può essere utile per fare un po’ di chiarezza nel dibattito.
Quarantaquattro anni
«Perché in questi 44 anni si è provato più volte ad aprire la discussione su questo tema, e poi ci siamo fermati di fronte all’impressione di un totem, di un tabù? […] Il lavoro non si crea difendendo le regole di 44 anni fa». (Direzione Nazionale, 29 settembre 2014)
FALSO. L’articolo 18 è stato modificato nel 2012, dal governo Monti, su iniziativa del ministro Fornero, aumentando la flessibilità in uscita limitando i casi di reintegro.
Lo 0,0001% dei lavoratori
«Nel merito l’articolo 18 non difende tutti. Anzi, non difende quasi nessuno. Nel 2013 i lavoratori reintegrati sono stati meno di 3000: considerando che i lavoratori in Italia sono oltre ventidue milioni stiamo parlando dello 0,0001%» (Repubblica, 28 settembre 2014).
FALSO. Secondo dati della CGIA Mestre, i lavoratori del settore privato dell’industria e dei servizi che godono delle tutele previste dall’articolo 18 sono 6,5 milioni, su un totale di 11 milioni. Il 57,6%. Ad ogni modo, il numero di lavoratori reintegrati sarà ridotto, ma sicuramente sufficiente ad assicurare quei 6,5 milioni dal ricatto del licenziamento ingiustificato e dunque dall’abbassamento generale dei salari che il potere di ricatto consentirebbe.
1,5 miliardi possono bastare
«Costruiamo un’Italia che costruisce un modello di welfare per cui se tu ci provi e fallisci, io ti difendo. Io non ti lascio andare in terra. Io non ti lascio senza rete di protezione. Tu fallisci? Bene, non ti dico di non provarci e di stare sulla difensiva. Ti dico: provaci. Sarà mia cura difenderti in un modo diverso».
«Un miliardo e mezzo per i nuovi ammortizzatori sociali». (Direzione Nazionale, 29 settembre 2014)
FALSO. Maurizio Del Conte, docente di Diritto del Lavoro dell’Università Bocconi, sostiene che il modello della flexsecurity possa funzionare solo in realtà ricche e piccole e che l’intenzione di riformare il mercato del lavoro italiano in questo senso «per essere credibile ha bisogno di quei famosi dieci miliardi». Stefano Fassina, invece, sostiene che per “coprire” 500.000 lavoratori precari sono necessari 4 miliardi in più ogni anno. Inoltre, non è stato chiarito se quella cifra comprende lo stanziamento per gli ammortizzatori in deroga, che da soli valgono 1,5 miliardi. Nella legge delega ovviamente non sono previste coperture e il mancato coordinamento con la legge di stabilità pone forti interrogativi sulle possibili coperture.
Un solo contratto per tutti
«Vuoi difendere le persone che non hanno avuto diritti fino ad oggi? Inizia col ridurre le forme contrattuali. A partire dai co.co.pro., salvando i veri rapporti di collaborazione dettati dalle esigenze del lavoratore o di natura professionale». (Direzione Nazionale, 29 settembre 2014)
FALSO. Non è vero che ci sarà solo un contratto, come sul modello di Boeri e Garibaldi. Nella legge delega, infatti, si legge che si può pensare all’introduzione «di ulteriori tipologie contrattuali espressamente volte a favorire l’inserimento nel mondo del lavoro, con tutele crescenti per i lavoratori coinvolti». “Ulteriori” è la parola magica, che renderebbe il nuovo contratto a tutele crescenti aggirabile da tutte le parti.
Le aziende in mano ai giudici
«Il reintegro spaventa gli imprenditori e mette in mano ai giudici la vita delle aziende. Va tenuto solo per i casi di discriminazione». (Repubblica, 28 settembre 2014).
«L’azienda straniera non interviene perché non sa quanto costa l’eventuale uscita. Ecco perché io credo vada superato l’attuale sistema del reintegro, certo lasciandolo per il discriminatorio e il disciplinare. […] Con una garanzia del reddito che sia proporzionale — ecco le tutele crescenti — all’anzianità contributiva. E che permetta di andare non davanti a un giudice o a un avvocato, ma per legge, come succede in quasi tutti gli altri Paesi — direi in tutti gli altri Paesi». (Direzione Nazionale, 29 settembre 2014)
FALSO. Secondo un dossier elaborato dal ministero del Welfare, la possibilità del reintegro esiste in numerosi Paesi europei, dalla Svezia al Portogallo. «Ciò che distingue molto l’Italia dagli altri paesi è, piuttosto, la durata dei procedimenti giudiziari: in media intorno ai due anni contro i quattro-cinque mesi della Germania, stando ad un’indagine dell’Ocse. […] In Germania, dove la cultura dei giudici è meno pro labour ma il sindacato è più forte e strutturato nelle aziende, prevale nell’impianto legislativo la conservazione del posto di lavoro. Dunque è il tribunale che può ordinare il mantenimento del rapporto di lavoro in caso di licenziamento nullo o ingiustificato». Da segnalare che il 29 settembre si è aggiunta la fattispecie “disciplinare” ai casi di reintegro. Nulla di tutto ciò, però, viene trattato dalla legge delega che su questo tema è particolarmente vaga.
La flessibilità in Europa
Infine, gli investitori vogliono sapere quanto costa, più che l’uscita, l’entrata nel mercato, e tutti gli studi internazionali pongono l’Italia in fondo alla classifica quanto agli alti costi (e tempi) di insediamento. Al contrario, il costo del licenziamento è tra i più bassi.
Per tornare al nocciolo della questione: quanto è flessibile il mercato del lavoro in Italia? Lo spiega puntualmente ValigiaBlu: «A sorprendere è il dato fornito dall’indice delle tutele dei lavoratori (con contratto a tempo indeterminato). I dati dell’Ocse, come si può vedere nel grafico, dimostrano che non è vero che i lavoratori italiani sono i più protetti. Inoltre, se in molti altri Paesi l’indice è rimasto stabile, quello italiano tra il 2012 e il 2013, è sceso da 2,76 a 2,51 dopo le modifiche all’articolo 18 della riforma Fornero». Per fare un paragone, in Germania detto indice di protezione è pari a 2,87.
Grazie a Gianni Principe per i suggerimenti.