La proposta di Pippo Civati e Michela Marzano di un progetto di legge partecipato sulla parità di genere ci è parsa come un’ottima opportunità, per noi che da anni viviamo all’estero, di portare un contributo da una prospettiva europea. Riteniamo, infatti che anche dall’estero sia importante arricchire il dibattito politico in Italia, a partire da un confronto diretto e vissuto con i paesi che ci hanno accolto. Non pensiamo che tutto ciò che all’estero sembra funzionare sia esportabile di sana pianta in Italia ma sicuramente che possa servire a creare un dibattito informato.
Questo documento è il frutto di un progetto collettivo nato tra Londra, Oxford, Berlino, e l’India.
Ci siamo concentrati su aspetti che riteniamo fondamentali per un progresso verso la parità di genere in Italia. Data la complessità del tema, questo contributo non vuole e non può essere un esaustivo ma piuttosto uno spunto interessante.
Nella prima parte del documento spieghiamo la nostra visione di parità di genere, intesa non solo come uguali opportunità per uomini e donne ma come la rimozione di quegli ostacoli strutturali che causano uno squilibrio di potere tra i generi. Esempio lampante nel nostro paese è la quantità di attività di cura che le donne si continuano a sobbarcare, anche quando entrano nel mercato del lavoro. Come sappiamo il presente governo non ha un ministro delle pari opportunità e l’impegno per delle politiche decisive per la parità non sembra essere sull’agenda da parecchio tempo, a prescindere dal colore del governo. Nonostante abbia ratificato la Convenzione delle Nazioni Unite sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne nel 1985, è dal 2002 che l’Italia non redige un rapporto sulla situazione, come invece dovrebbe fare periodicamente. Pensiamo che, come prima cosa, il governo debba impegnarsi a fare il punto della situazione per il 2015, in occasione del ventesimo anniversario della conferenza mondiale sulle donne del 1995 a Pechino, quando gli stati si riuniranno di nuovo per discutere dei progressi ottenuti e delle sfide future.
La seconda parte si concentra sull’educazione nelle scuole e sulla formazione del personale pubblico e privato. L’Italia, a differenza di molti altri paesi europei, presenta carenze strutturali riguardo l’educazione alla parità di genere. Abbiamo scelto Spagna e Gran Bretagna come esempi positivi di gender teaching. La Spagna in quanto paese cattolico e più simile a noi dal punto di vista culturale, la Gran Bretagna in quanto ci viviamo e ne abbiamo un’ esperienza più diretta. La Spagna nel 2007 ha promulgato la Ley de Egualidad che sancisce e promuove l’effettiva parità tra i generi. Il ministero dell’istruzione, della cultura e dello sport spagnolo ha poi implementato una serie di programmi e piani d’azione per una piena implementazione della legge. Particolarmente importanti sono la formazione dei genitori e assieme agli alunni, e l’introduzione dell’Educazione alla Cittadinanza e ai Diritti Umani nella scuola primaria e secondaria, in cui si promuovono il pluralismo politico e religioso e il riconoscimento e il rispetto delle diversità di genere e di orientamento sessuale. Interessante è l’introduzione della formazione del personale dell’amministrazione pubblica in generale, non solo della scuola, alla parità. In Gran Bretagna si insegna Educazione Sessuale e alle Relazioni attraverso un programma parzialmente obbligatorio a partire dagli 11 anni. Il programma di questo insegnamento viene discusso tra il corpo docente e i genitori. Il caso del Regno Unito è particolarmente interessante per quanto riguarda l’attenzione alle diversità di orientamenti culturali e religiosi. Essendo un paese fortemente multiculturale, l’educazione sessuale è un tema che suscita reazioni e avversioni paragonabili a quelle di parte cattolica nel contesto italiano. Sono dunque stati individuati, e rese obbligatori, alcuni temi imprescindibili per tutti in quanto funzionali alla salute, al contrasto alla violenza e al rispetto delle diversità, incluse le diversità di orientamento sessuale,
La terza parte si concentra sul congedo parentale, davvero un punto dolente in Italia, dove praticamente non esiste e sarebbe più corretto parlare di congedo di maternità. Solo dal 2013 i neo padri possono usufruire di ben un giorno pagato di congedo. Il problema del congedo parentale in Italia è reso ancora più complesso e grave dalla precarietà diffusa. Nel 2011, solo il 6.4% dei genitori che hanno usufruito del congedo parentale aveva un contratto a tempo determinato! In Italia quindi c’è un duplice problema: da un lato riequilibrare i giorni di congedo tra padri e madri e dall’altro la necessità che i congedi siano slegati dalla situazione lavorativa per supportare i genitori precari o disoccupati. Come prevedibile, i paesi scandinavi hanno molto da insegnare, per esempio in Svezia il congedo parentale è legato alla residenza, non al posto di lavoro. Nella più vicina Germania, madri e padri hanno ugualmente diritto a 12 mesi di congedo estesi a 14 se entrambi prendono almeno 2 mesi. La retribuzione minima di €300 euro al mese si applica anche ai genitori senza salario precedente.
Una situazione a dir poco complessa! Ma le soluzioni ci sono ed è dovere della politica impegnarsi a definirle e metterle in pratica con decisione, creando un piano Marshall per la parità di genere in Italia. Per saperne di più vi invitiamo a leggere il documento completo che trovate qui allegato.
Per chi volesse contribuire al dibattito, curiamo un gruppo su Facebook “La questione maschile”. Uno spazio in cui postare articoli, raccontare esperienze, ma soprattutto discutere su come migliorare le politiche di genere nel nostro paese, a cui potete aggiungervi.
Clicca qui per scaricare il documento sulla questione maschile in Italia.