Una slide, qualche tweet e una consultazione on line non fanno una riforma della scuola, e non le danno qualità. Così come non bastano buoni annunci per farla buona, servono pure buone pratiche e segnali conseguenti.
Cos’è, in fondo in fondo, il diritto all’istruzione? La traduzione in termini didattici del principio secondo cui nessuno deve essere lasciato indietro nel cammino verso il progresso sociale. Quando si parla di eccellenza in termini di esclusività, invece, si fa esattamente il contrario, ricercando il successo individuale o d’élite praticando, appunto, l’esclusione di chi rimane indietro. Per questo una scuola pubblica è buona solo se è inclusiva.
E la nostra? Una ricerca sulla dispersione scolastica condotta da Fondazione Giovanni Agnelli, WeWorld Intervita, Associazione Bruno Trentin in collaborazione con Csvnet, ed evocativamente chiamata “Lost”, emerge che in Italia l’abbandono scolastico è pari al 17%, a fonte di una media europea dell’11,9%. Un pessimo record, drammatico se si osservano i dati di Sud e Isole, con Sardegna e Sicilia rispettivamente al 25,5% e 24,8%, seguite da Campania, 21,8%, e Puglia, al 17,7%.
Se si volesse cambiare verso alla scuola, bisognerebbe cercare di invertire quel trend. Invece, il Governo ha tagliato le risorse destinate proprio a combattere il fenomeno dell’abbandono scolastico, portandole dai 53.195.060 euro dello scorso anno agli appena 18.458.933 di adesso. Così pochi che lo stesso Miur (con Nota prot. n. 5632, del 7 ottobre 2014) ha invitato gli uffici scolastici regionali a prestare la massima attenzione “nelle azioni di selezione e distribuzione delle risorse, al fine di ottimizzarne l’utilizzo e la coerenza rispetto alle finalità istitutive di tale misura, nella direzione cioè di favorire l’integrazione e il rientro in formazione di tutti gli studenti a rischio”. In poche parole, ha detto ai provveditorati: le somme sono così poche da sembrare un insulto, ma voi, fatene buon uso e, soprattutto, fatevene una ragione.
Non bisogna essere addetti ai lavori per capire che continuare a tagliare nel settore dell’istruzione, dove le cure dei governi Berlusconi han già sottratto quasi otto miliardi e mezzo a partire dal 2008, ha effetti negativi sul “sistema Paese”, e pure sull’economia misurata secondo i numeri aridi del Pil, visto che stime credibili sull’argomento spiegano che, in questi anni, l’abbandono scolastico ha comportato contrazioni del prodotto interno lordo per cifre dai 20 agli oltre 100 miliardi di euro, a seconda del tasso di crescita nei periodi considerati.
Cioè, 720mila giovani poco o male istruiti perché abbandonano la scuola prima del termine del loro ciclo di studi, oltre a rappresentare una vergogna di civiltà, sono anche una forza lavoro poco qualificata: non certo l’ideale per affrontare le sfide della modernità.
Se chi decide come investire le risorse pubbliche non ha orecchio per ascoltare il cuore che parla di inclusione, provi almeno a prestare attenzione ai sintomi e alle fitte al portafoglio di cui quell’esclusione è causa.