Si nasce, sempre meno, si cresce, come si può, si studia, spesso lontano, e si emigra. L’andar via è una tappa della vita, una come tante, senza tragedie, e senza nostalgie, ché son cose da ricchi, di chi ha qualcosa da rimpiangere, no?
Invece, noi terroni non abbiamo amore per la terra in cui siamo nati, per questo la lasciamo, giusto? Perché l’amore, in fin dei conti, è una relazione biunivoca, o non è, e quando la tua terra pare dimostrare indifferenza, se non proprio sprezzo, per te e i tuoi destini, può accadere che si affievolisca, vero?
Non so. So che mercoledì 28 ottobre, a Roma, lo Svimez ha presentato il suo rapporto annuale, spiegando che il Mezzogiorno d’Italia sta vivendo un vero e proprio stravolgimento demografico, ed è “destinato a perdere 4,2 milioni di abitanti nei prossimi 50 anni”.
4.200.000 di persone; immaginatevele tutte insieme, in fila, magari per salire su un treno, meglio ancora un autobus, perché nell’Italia che rincorre le follie faraoniche di buchi sotto le Alpi, i treni al Sud a volte non arrivano proprio, perché mancano i binari per collegare le stazioni, anche nei luoghi che eleggiamo a Capitale europea della cultura.
Come mancano tante altre cose, al punto che, per il settimo anno consecutivo, il maledetto Pil segna valori negativi, pur se francamente non ricordo i precedenti sette anni di vacche grasse; devo essermeli persi. Le famiglie povere sono aumentate del 40% solo nell’ultimo anno e crollati i consumi del 13 negli ultimi due, mentre gli occupati sono scesi ad appena 5,8 milioni, il dato più basso da quando ci sono quelle serie statistiche, che porta il valore corretto della disoccupazione reale al 31,5%, ben al di sopra di quel già preoccupante 19,7 delle stime generali.
Allora, semplicemente, si va via. E capita in questo modo che i morti superino i nati, come succede quando un territorio volge al tramonto. Nati che sono sempre di meno, 177 mila nel 2013, la cifra più bassa registrata dal 1861, con andamenti preoccupanti al punto che, per trovarne di simili, bisogna tornare alla fine della Terza Guerra d’Indipendenza e ai tempi del Brigantaggio, nel 1867, o al termine del primo conflitto mondiale, nel 1918, quando gli uomini giovani erano impegnati a farsi massacrare ai confini di una patria che li avrebbe sempre considerati cittadini in minore.
Pure stavolta, a spiegare quel calo, non ci sono mutati costumi o scelte morali: semplicemente, i giovani vanno via, e i vecchi non fanno figli, ma muoiono lontano dai loro. Giovani che quei vecchi han fatto studiare, se pensiamo che è laureato il 27,6% di chi va via dalla Puglia, il 28,7 dall’Abruzzo, il 29 dalla Basilicata.
La Basilicata, quella terra del petrolio di cui l’estrazione non si può fermare, quella dell’oro nero e quella di chi lì ci nasce. Vorrete mica fermare il progresso per le proteste di “tre, quattro comitatini”? Vorrete mica arrestare il futuro che va avanti come una trivella per 4/500 mila cafoni?
Sblocchiamo le perforazioni in Val d’Agri, di corsa e con fiducia, dunque, come vuole il presidente del Consiglio.
A proposito di presidenti del Consiglio e di Val d’Agri: un sindaco di quelle zone, Vincenzo Valinoti Latorraca, di Moliterno, incontrando nel 1901 l’allora capo del Governo, Giuseppe Zanardelli, in visita nella provincia lucana, lo salutò a nome dei suoi “ottomila concittadini, metà dei quali già in America, e gli altri stanno per seguirli”.
Continua a essere così, e quella “Questione meridionale” è ancora aperta e ha tutt’altro che cambiato verso.