L’annunciata iniziativa governativa in materia di contrasto alla corruzione rischia di soffrire dello stesso deficit di effettività delle norme che si propone di modificare.
Il testo di legge non risulta ancora depositato. Quando verrà presentato, esso, comunque, confluirà, per stare a quanto comunicato dal Governo stesso, in un disegno di legge di complessiva riforma della normativa penale e processuale, che, prevedibilmente, incontrerà un lungo e tortuoso iter di discussione e le cui prospettive di approvazione sono allo stato decisamente incerte.
La sistematicità nelle riforme in materia penale e processuale-penale è sempre un carattere apprezzabile, ma, in questo caso, più che di una valutazione tecnica-legislativa appare figlia di una scelta di opportunità meramente politica: rimandare a domani ciò che è problematico fare oggi. Non proprio una scelta lungimirante.
La necessità di intervenire sulla scarsa effettività dell’attuale risposta ai fenomeni corruttivi (come noto di estrema attualità) avrebbe, al contrario, suggerito un intervento mirato, sganciato dal lento convoglio di riforma complessiva della normativa penale e processuale, ma non per questo meno meditato e coerente a livello sistematico. Un intervento che avrebbe potuto – e dovuto – valorizzare il lavoro già fatto dal Parlamento, nei cui due rami pendono, da tempo ormai, alcuni pertinenti disegni di legge già pronti per la discussione in Aula e l’approvazione.
Così, ad esempio, su un tema di grande attualità come la riforma della prescrizione, in relazione al quale sono maturi, nelle competenti commissioni, testi di legge (certamente migliorabili dall’Aula) già contenenti significativi interventi volti ad allungare i termini di prescrizione in relazione alla generalità dei reati.
Siamo di fronte a motrici pronte per convogli leggeri, ferme in attesa del convoglio pesante. Il rischio è che non arrivi nulla a destinazione.
Nel merito, in attesa dei testi, possono essere valutate solo le linee-guida emerse ufficialmente dal consiglio dei ministri del 12 dicembre.
Il previsto inasprimento sanzionatorio per la corruzione propria (pena minima 6 anni, pena massima 10 anni) riflette la volontà del governo, almeno a livello comunicativo, di “dare un segnale” immediato e adeguato alla gravità del fenomeno corruttivo, ma – se non coordinato con le cornici di pena di alcuni altri delitti contro la pubblica amministrazione — rischia di introdurre una disciplina sanzionatoria poco coerente (solo per fare un esempio, in base alla prospettata cornice di pena, la corruzione propria sarebbe punita più gravemente della corruzione in atti giudiziari – condotta alla quale si è tradizionalmente attribuito un maggiore disvalore penale -, mentre sembrerebbero rimanere punite con pene blande le condotte di chi è corrotto per l’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri; condotte per le quali il massimo di pena – 5 anni — diverrebbe addirittura inferiore al minimo di pena della corruzione propria- 6 anni-). Il recupero dell’effettività sanzionatoria, oggi precaria (1 processo su 10 per corruzione si estingue per prescrizione; nell’oltre 80% dei casi le condanne per reati di corruzione si attestano su pene inferiori ai 2 anni, attratte nell’area della sospensione condizionale e quindi, spesso, non eseguite) rimane, d’altra parte, obiettivo prioritario e condivisibile.
All’indicato aumento di pena si accompagnerebbe il prolungamento dei termini di prescrizione (calcolati in base al massimo della pena edittale). Come accennato, la riforma della prescrizione necessiterebbe di un intervento generale, perché la scarsa razionalità dell’attuale disciplina dell’istituto della prescrizione prescinde dai termini prescrittivi del reato di corruzione. I citati d.d.l. depositati alla Camera e al Senato vanno in questa direzione con un intervento maturo per la discussione-approvazione. Se si volesse operare un sincero (e rapido) supplemento di riflessione in materia, poi, si potrebbe “rivoluzionare” l’istituto della prescrizione, disciplinandone il decorso esclusivamente dalla consumazione del reato al rinvio a giudizio (o alla sentenza di primo grado) e, garantendo, invece, la ragionevole durata del processo con istituti diversi dall’estinzione del reato.
Tra le linee guida del governo, si segnalano anche un intervento estensivo sull’applicazione della confisca allargata e l’introduzione di un obbligo di restituzione dell’integrale ammontare del prezzo o del profitto del reato come condizione per l’accesso al patteggiamento. Pur prevista con un meccanismo che necessiterebbe di un supplemento di riflessione, quest’ultima previsione si muove condivisibilmente nel solco della disincentivazione sul piano economico dei fenomeni corruttivi (un approccio che andrebbe, in realtà, rafforzato con sanzioni economiche aggiuntive parametrate al prezzo e profitto del reato: alla Camera il 3 dicembre 2013 è stata depositata, in questo senso, una proposta di legge a firma Civati e altri).
Dagli annunci governativi resta esclusa ogni prospettiva di intervento vuoi in materia di indagini relative ai fenomeni corruttivi (rispetto alle quali bisognerebbe calibrare opportunamente l’estensione di alcuni strumenti già utilizzati per i reati a valenza mafiosa), vuoi in relazione a reati come la corruzione privata, il falso in bilancio e in generale i reati tributari, spesso collegati all’ordinaria corruzione, la cui capacità sanzionatoria è oggi precaria, se non inesistente. E sono mancanze “pesanti” perché, nell’ottica del complessivo contrasto al fenomeno corruttivo, l’utilità di ciascun tassello non va taciuta, ma rimane relativa. E dovrebbe essere il mosaico l’orizzonte della politica.
Un mosaico fatto di norme, certo, ma non solo. Vanno promossi i valori dell’etica pubblica in chiave preventiva, ogni giorno, con pazienza, sincerità e tenacia, fornendo – come si suol dire – l’esempio. Anche (e soprattutto) per questo, le buone norme necessitano di convogli adeguati.