Il giochetto è ormai scoperto e perfino un po’ logoro. E soprattutto irritante. Si butta lì un’idea, magari un po’ balzana, senza un’analisi, senza un dossier, senza i proverbiali “due soldi di conti” della massaia, poi al minimo accenno di sconcerto degli interlocutori ci si straccia le vesti per la “chiusura preconcetta” di chi “sa dire solo dei no”.
E invece.
Insegnava quella buonanima di Norberto Bobbio che la democrazia è “il governo del potere pubblico in pubblico”; in altre parole, la possibilità di giudicare la decisione pubblica sulla scorta di elementi istruttori minimamente esposti e valutabili. Soprattutto, non si può perennemente buttare la palla avanti e poi accusare gli altri di non inseguirla; occorre, viceversa, ricominciare a sottoporsi alla sacrosanta fatica di giustificare la propria scelta tra possibili alternative. Così si decide in democrazia.
E invece.
L’idea che il Paese sappia da una conferenza stampa lampo che la città al centro del più bieco scandalo politico, Roma, si candida a ospitare le Olimpiadi del 2024; e che debba pure entusiasticamente applaudire, per non passare dalla ormai sovraffollata parte dei gufi e dei signorno, è semplicemente diventata intollerabile.
Rifacciamoli, allora, questi due soldi di conti.
Londra ha speso per le Olimpiadi del 2012 circa 12 miliardi di sterline, più, si calcola, quasi altrettanti di spese indirette (dagli incentivi per gli operatori delle metropolitane fino alla sistemazione a verde di spazi urbani). E questo a fronte di un preventivo iniziale di meno di 3 miliardi di sterline (in un paese in cui le varianti in corso d’opera sono un po’ meno abituali che da noi, per così dire). Un salasso per ora nemmeno lontanamente coperto dagli introiti successivi, contro cui argomentava nell’imminenza dell’evento non il ciclostile della associazione ambientalista, ma l’organo di stampa della Confindustria italiana.
E noi, tra un Buzzi e un Carminati, e mentre mezzo Paese frana a mare e l’altra metà guarda i muri marci cadere; mentre ancora non ci sono stime affidabili del bagno che il Paese prenderà con Expo 2015 (e senza contare i danni ambientali che lascerà in eredità), che facciamo? Portiamo in un’area ormai al collasso economico, ambientale e morale una manifestazione di questo tipo.
Allora, per piacere, qui non si tratta di dire dei si o dei no. Si tratta di dire chiaro e tondo quante scuole si possono mettere in sicurezza con gli stessi soldi, quante frane e versanti si possono consolidare, quanta filiera di energie alternative si può alimentare, quanta riconversione ecologica si può finanziare, quanta mobilità dolce si può infrastrutturare, quanta economia alternativa, basata sul recupero, la valorizzazione e la messa a valore dello straordinario patrimonio paesaggistico del Paese sui può alimentare.
Nessun no, insomma, ma una responsabile esposizione di alternative, tra le quali il Paese possa scegliere consapevolmente. E un gigantesco si a un’altra idea di investimento per il Paese, magari a partire dalla quale sostenere interessi altri, economie altre, classi dirigenti altre.
È troppo chiederlo a un signore che ha fatto un anno di primarie vantando un piano regolatore a volumi zero?