Un’illuminazione socratica, mista ad un buon numero di libri da leggere (pena un’interrogazione futura, temo), è ciò che mi accompagna dopo i saluti finali sulla strada del ritorno: il non sapere è speranza, soprattutto per chi come me s’avvicina ora alla politica. Roberto Fasoli, veronese consigliere regionale dal 2010, ha la serena consapevolezza che nulla è perduto se ci sarà chi coglierà l’esperienza delle generazioni passate: e lui, che ha vissuto tre diverse carriere, è pronto a mostrarlo.
Tra i fondatori del Centro Cultura Popolare nel 1972 (luogo di formazione extrascolastica per chi non poteva seguire la scuola obbligatoria) da studente di filosofia, ha lavorato nella CGIL Verona diventandone prima Segretario della Scuola e infine Segretario Generale nel 1998 per poi approdare prima al Comune di Verona come consigliere comunale (2007) e infine Consigliere Regionale (2010): tre carriere diverse, tutte con la costante indipendenza e autonomia.
“Facevo parte della cd. terza componente del CGIL, quella che aveva come padre nobile, Vittorio Foa, e che non era legata ai grandi partiti di allora” mi dice, “così come poi, in politica, non sono mai stato iscritto a partiti fino al Partito Democratico” aggiunge, mostrando come la sua “totale autonomia mi abbia portato ad essere tra i fondatori dell’Associazione per il Partito Democratico prima ancora che nascesse l’attuale PD.”
Ma è stato anche insegnante, e quando gli chiedo cosa ci sia in comune tra scuola e sindacato risponde che “entrambi ti obbligano ad una relazione: esiste sempre un altro che è davanti a te, ti annusa, e con cui devi stringere un patto che significa trovare un compromesso, cioè la soluzione più alta per entrambi. Gli studenti, come gli operai, capiscono se lavori svogliatamente, ed è tuo dovere dare il massimo.” Il confronto col terzo elemento, la politica, è però impietoso: “questa politica attuale disprezza l’interlocutore, non crea un costante rapporto ma chiede la tua opinione semel in anno. Una politica così è devastante”, dice.
Un parallelo esiste anche tra crisi del sindacato e crisi dei partiti: “il sindacato è in crisi globalmente, logorato da una globalizzazione e un’economia post-fordista che lo sta mettendo in grande difficoltà. La democrazia rappresentativa stessa, legata ad un’industria fordista, è impreparata ad un’economia di finanza globale esasperata. Quando abbiamo una trasformazione soggettiva dalla collettività all’individualità, vanno in crisi tutte le organizzazioni del sociale.”
Parlando del PD, ritiene che “per uscire da questa situazione occorra domandarsi come siamo arrivati ad una non-vittoria: come quando in macchina guardiamo dietro per non investire qualcuno, è necessario ripensare ai nostri errori, ma seriamente” dice, aggiungendo che “è necessario rileggere la realtà, non arroccarsi su un partito elitario. Le primarie non bastano a ricongiungersi agli elettori, ma occorre ripensare un partito come lo delinea ad esempio Fabrizio Barca.”
Il programma? “Tre punti fondamentali: sviluppare una seria e sentita discussione politica e culturale, attuare una riflessione innovativa sperimentando una nuova forma di partito e infine avere una chiara analisi della società, chiedendoci a chi stiamo parlando: se tra Marchionne e Landini scelgo Marchionne, devo domandarmi se questo è il posto giusto per me.”
Alla domanda sul perché ha scelto Civati, risponde dicendo che “dopo il 19 Aprile 2013 c’è da costruire un nuovo inizio, e Pippo (con la sua squadra) incarna esattamente questo.”
Crede in una squadra in cui, come dice John Belushi, “quando il gioco si fa duro, i duri iniziano a giocare: è la collettività a creare il leader, non può accadere viceversa.”
Un utile memorandum per chi attende solamente il leader carismatico.
#civoti 19: Roberto Fasoli