Il mondo non si è fermato mai un momento, anzi chi lo abita gira vorticosamente sempre più, alla ricerca di condizioni migliori per la vita, quando non in fuga dalle emergenze della guerra, della dittatura, della teocrazia. Questo impone soluzioni dal punto di vista della libertà del culto, una politica veramente pacifista, istituti di democrazia sovranazionale, la redistribuzione del reddito per far fronte alle nuove povertà in una chiave riassumibile nella parola integrazione. Dev’essere il mantra che ‑accanto alla certezza dei doveri e della legge, che tuteli la sicurezza di tutti i cittadini- accompagna ogni programma di ispirazione progressista, e che nella sinistra di Giuseppe Civati assume anche tre connotazioni concrete: cambiamento nell’attribuzione della cittadinanza, attraverso lo ius soli; diritto di voto per gli immigrati alle elezioni amministrative; introduzione della figura giuridica di sponsorship.
Le recenti polemiche, non nuove peraltro, riguardo il massiccio afflusso di intere comunità locali di origine straniera al tesseramento (e poi alle primarie) del PD, non devono distogliere l’attenzione dal fatto che anche in Italia occorra applicare il principio “No taxation without representation”: ovvero anche i cittadini stranieri, che risiedano legalmente nel nostro Paese e che contribuiscano col proprio impiego alla fiscalità generale, devono poter scegliere i propri rappresentanti nelle amministrazioni locali, le più vicine ai bisogni di ogni giorno. E non in una sorta di assemblea parallela riservata ai migranti, bensì nei consigli comunali ufficiali, con l’obiettivo di ridurre le distanze ancora esistenti tra il senso di appartenenza dei newcomer e farne dei cittadini responsabili a tutti gli effetti, con oneri e onori. Mandando così definitivamente al macero i decenni bui in cui le idee leghiste, spesso e volentieri diventate patrimonio di tutta la destra e non solo, hanno dettato legge in Italia.
Dei cinque milioni di persone di origine non italiana, che oggi vivono e lavorano nel nostro Paese, garantendo il 9% del gettito fiscale, oltre un milione è nato e cresciuto qui, senza potersi dire italiano. Eppure questi cittadini di seconda generazione non hanno spesso mai conosciuto la nazione di origine dei genitori, parlano la nostra lingua, hanno le stesse abitudini dei loro coetanei italiani da generazioni, ma non eguali diritti. Dallo ius sanguinis si deve così passare allo ius soli, quale sistema di concessione della cittadinanza: chi è nato in Italia, dev’essere italiano. E così, anche per chi arriva da adulto, devono essere ridotti e semplificati i tempi e le incombenze per ottenere la cittadinanza italiana su base volontaria. Le buone pratiche esperenziate in tal senso a livello locale devono diventare in questa maniera un paradigma per tutta la macchina statuale della pubblica amministrazione. Più italiani significa cittadini più consapevoli: il Partito Democratico in tal senso ha candidato e fatto eleggere cittadini nati nelle nazioni povere dell’Africa, e una di queste, la dottoressa Cécile Kyenge, è oggi ministro per l’integrazione: a lei vada tutto il supporto utile a cambiare politiche fallimentari e anti-umane.
L’attuale normativa rende quasi impossibile entrare regolarmente in Italia senza alimentare sacche di lavoro nero, sfruttamento e criminalità che nuocciono al sistema sociale ed economico nel suo complesso. Si deve incidere sulla programmazione e la revisione delle procedure in modo da promuovere l’ingresso regolare, favorire l’integrazione e la coesione sociale, ampliare la durata del permesso di soggiorno. Per valorizzare il capitale umano dei migranti è indispensabile rendere più agile il riconoscimento dei titoli di studio, la possibilità di iscriversi agli ordini professionali se in possesso dei titoli, la possibilità di entrare nelle politiche attive del lavoro come lavoratori qualificati. È quindi necessario prevedere l’introduzione della figura dello sponsor e la possibilità di concedere regolarizzazioni “dedicate” sulla base di requisiti più flessibili (reddito e lavoro stabile, collegamenti familiari, durata del soggiorno, assenza di condanne penali). Migliori sono le condizioni di vita che offriamo a queste persone, migliore sarà il loro rapporto con gli altri italiani e con lo Stato che vogliamo andare a governare.