Michela è milanese da sempre, ma ha vissuto un anno in Arkansas (quando era governatore Bill Clinton), uno in Belgio e otto anni a Londra (quando era primo ministro Tony Blair). È ricercatore di Economia Politica all’Università Milano Bicocca e ha due figli di 6 e 8 anni. L’unica tessera oltre a quella del PD che ha mai avuto è quella dell’Agesci e cerca ancora di vivere secondo uno degli insegnamenti di Baden Powell: “Cercate di lasciare il mondo un po’ migliore di come l’avete trovato”.
La prima domanda è d’obbligo: cosa fa una microeconomista? “La microeconomia è un ramo dell’economia politica, come la macroeconomia ma molto meno conosciuta al grande pubblico. È una disciplina molto flessibile che studia il comportamento di singoli agenti nei più svariati contesti: dalle decisioni di spesa dei consumatori, alle imprese su un singolo mercato che interagiscono strategicamente fino alla definizione del modo migliore per far lavorare le persone in un team o alle decisioni all’interno di una famiglia sull’allocazione del tempo da dedicare i figli. C’è anche da dire che ormai la macroeconomia, che studia i sistemi economici e gli aggregati, non può più fare a meno della microeconomia, dopotutto i sistemi economici sono fatti da tanti singoli agenti e imprese.”
Quando sei entrata in contatto con Civati e il suo pensiero? “Ho iniziato a leggere il blog e a seguire Civati nella primavera del 2009 quando si parlava tanto dei “Piombini” il gruppo di giovani militanti e simpatizzanti del PD che si erano riuniti per discutere del sentiero di rinnovamento che il partito avrebbe dovuto percorrere. Spiace constatare che quelle proposte siano quanto mai attuali, è cambiato troppo poco. Di Civati mi piace il merito e il metodo, sono d’accordo con la maggior parte di quello che dice e mi piace il modo in cui lo fa, lui tratta i suoi e‑lettori come persone adulte e parla alla loro testa e non alla pancia.” Continua Michela: “Andai all’ARCI Bellezza nella primavera del 2010 quando questa avventura incominciò ma non sono mai stata molto attiva. Sebbene io segua con molta attenzione le vicende del PD e di Civati non mi sono mai lasciata coinvolgere più di tanto. Forse perché nel mio lavoro mi dedico alla teoria microeconomica alla fine mi piace occuparmi di cose pratiche ed è tipicamente con le campagne elettorali che questo può succedere. Questa è la prima volta che potrò votare effettivamente Civati visto che non risiedo nel suo collegio. In queste ultime settimane ho fatto di tutto: raccolta firme, aperitivo di autofinanziamento, ho convinto amici a prendere la tessera del PD, fatto riassunti e presentazioni. Sono in un turbine, ma sono contenta di poter aiutare, erano anni che aspettavo questo momento.”
A questo punto intersechiamo le questioni: cosa c’è di microeconomicamente significativo nella mozione Civati? “A me sembra che per certi versi la mozione sia molto “micro”, ovunque si parla del ruolo dei singoli come agenti del cambiamento e come portatori di idee, la funzione del partito è quella di ascoltarli e facilitarne la partecipazione. Certe idee di fondo ci sono ovviamente anche nella parte più programmatica, l’enfasi sulla riduzione delle tasse sul lavoro perché convenga offrire e domandare lavoro, l’idea che debbano essere eliminate alcune “barriere all’entrata” che troviamo ovunque nel nostro sistema economico e persino l’idea che i lavoratori della pubblica amministrazione debbano essere motivati con premi e riconoscimenti.”
Uno dei perni della mozione è l’articolo 3 della Costituzione: quanto è importante? “L’articolo 3 della costituzione recita: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.” e immagino che sia uno dei principi ispiratori di tutta la mozione. Sono molto orgogliosa che Civati abbia avuto il coraggio, che manca ad una parte troppo grossa della sinistra moderna, di mettere il tema dell’uguaglianza al centro della mozione. Forse chi vuole sembrare nuovo e al passo con i tempi non ne parla per incapacità di declinarla in chiave attuale. È secondo me evidente che parlare di merito, di cui c’è un gran bisogno nel paese, senza occuparsi di’uguaglianza delle opportunità è non voler davvero risolvere il problema. Le società più uguali sono anche le più felici, quindi è nell’interesse di tutti cercare di ridurre le disuguaglianze dei risultati agendo sulle disuguaglianze di partenza.”
Un tema critico è appunto questo: come mettere in pratica lo slogan “non c’è merito senza uguaglianza”? “Si ricompensa veramente il merito (con cui intendo sia impegno che capacità) quando le condizioni di partenza sono meno diseguali, è chiaro a tutti l’esempio della gara dei 200m in cui qualcuno parte 50m avanti agli altri. Chi arriva primo è davvero il più bravo? Quindi secondo me (e secondo economisti molto più bravi di me) bisogna investire sul ridurre le disparità nelle condizioni di partenza per i ragazzi, e per questo bisogna intervenire molto presto, anche in età prescolare. Bisogna permettere a tutti di investire su loro stessi, perché poi possano mettere davvero a frutto le loro capacità. Nelle condizioni in cui siamo adesso ho l’impressione che stiamo sprecando un sacco di talenti.”
Facendo una sintesi, pensi che il futuro sia a sinistra, al centro o nel centrosinistra senza trattino (che ci piace chiamare Ulivo)? “Risposta scontata, il futuro è nel centrosinistra (ovvero al centro della sinistra) per una soluzione che “contempli mosse egualitarie e soluzioni liberali”. Ogni volta che rileggo la mozione mi convinco sempre più che noi proponiamo la “terza via” della sinistra italiana, peccato che questa espressione l’abbia coniata Giddens per Tony Blair e non la si possa più usare.”
#Civoti 23: Michela Cella