Dopo l’attentato sul treno ad alta velocità Amsterdam-Parigi della scorsa settimana, in molti mettono sotto accusa, ancora una volta, l’Unione europea per l’inefficacia delle sue politiche preventive e repressive nei confronti del terrorismo internazionale. Nel frattempo, l’esercito di quelli che chiedono una rivalutazione della libertà di circolazione all’interno dello spazio Schengen ingrossa le sue fila di giorno in giorno.
Per l’ennesima volta, si guarda il dito ma non la luna. Il dito è colpire Schengen. La luna è dare finalmente vita ad un sistema di intelligence europeo.
Schengen è stata una grande conquista nel processo d’integrazione europea, è il simbolo dell’Europa unita senza frontiere. Farvi parte o meno non ha mai dimostrato nessun legame diretto con l’intensità dell’attività terroristica in un determinato Paese.
Se, da una parte, le regole prevedono l’abolizione dei controlli sistematici alle frontiere interne degli Stati membri, dall’altra, prevedono l’obbligatorietà di quelli alle frontiere esterne.
Mettere in discussione il sistema Schengen è dannoso e inefficace. Dannoso perché consente ai terroristi di cambiare il nostro stile di vita, facendoci rinunciare alle nostre conquiste di libertà. Inefficace perché non saranno i maggiori controlli di frontiera all’interno dell’UE (peraltro, già inutilmente sperimentati in un recente passato) a fermare i terroristi in un determinato Paese, visto che possono contare su un network di sostegno molto ben organizzato.
Semmai, Schengen andrebbe utilizzato di più e meglio.
Non funziona il Sistema Informativo Schengen (il Sis, potenziato nel 2013, ora Sis II), che lascia agli Stati membri l’esclusiva responsabilità di utilizzarlo e implementarlo e all’Unione europea (alla Commissione) il mero ruolo di facilitatore nei tentativi di maggiore coordinamento.
Non funzionano i controlli alle frontiere esterne, il vero anello debole del sistema Schengen: come è possibile che i terroristi (spesso già sotto osservazione da parte dei servizi segreti) partano e tornino indisturbati dalla Siria — dove notoriamente non si va per turismo -, senza che nessuno sia in grado di controllarli e fermarli?
Oltre a un maggiore sforzo nel coinvolgimento delle comunità musulmane europee — in grandissima parte pacifiche -, per isolare i violenti, quello che servirebbe davvero è la creazione di un sistema autenticamente sovranazionale di intelligence.
Insomma, colpire l’Unione europea e colpire Schengen significa semplicemente fare un regalo alla destra populista di Salvini &Co. Significa distrarre l’attenzione dalla vera questione, che chiama in causa direttamente la responsabilità politica dei Governi europei.
La Commissione, lo scorso aprile, ha presentato un pacchetto di misure per affrontare il tema della lotta al terrorismo legato alla pressione migratoria. Tra le proposte si prevede il rafforzamento di Europol (l’agenzia di coordinamento delle polizie nazionali), attraverso l’istituzione di un nuovo centro europeo del contro-terrorismo. Lodevole, peccato che il mandato di questo “nuovo” centro non preveda nulla di nuovo rispetto all’esistente: coordinare lo scambio di informazioni transfrontaliere tra Stati membri, senza la possibilità di effettuare arresti.
È legittimo domandarsi come mai non ci sia stata l’ambizione di andare oltre, ma la risposta, con buona pace di Salvini e dei suoi accoliti, è finanche troppo semplice.
Per gli Stati la sicurezza rappresenta l’ultimo baluardo della sovranità nazionale, soprattutto in questa congiuntura che vede i populisti alla Salvini spopolare nei sondaggi in tutte le latitudini del Continente. La Commissione, per evitare la bocciatura delle sue proposte da parte dei Governi, ha dovuto adottare un approccio “minimalista”, preferendo una somma di strumenti nazionali (che consentiranno ad ogni Alfano in giro per l’Europa di intestarsene il merito davanti all’opinione pubblica del proprio Paese) alla nascita di un’azione sovranazionale (senz’altro più efficace, visto che il fenomeno non è circoscrivibile ai confini delle rispettive patrie, ma meno vendibile elettoralmente).
Al prossimo vertice europeo d’emergenza su immigrazione e antiterrorismo, probabilmente, ci faranno ascoltare l’ennesima dichiarazione comune sulla necessità di aumentare il coordinamento nello scambio di informazioni; probabilmente, ci informeranno di un eccezionale stanziamento di fondi nazionali o europei per potenziare i controlli sulle linee dell’alta velocità (dando quindi la possibilità ai terroristi di spostare la loro attenzione su altri obiettivi incustoditi, come metropolitane o linee ferroviarie regionali); probabilmente, ci annunceranno una nuova crociata contro la libertà della rete — potenziale strumento di diffusione d’odio e violenza -, per giustificare la richiesta di una maggiore capillarità nei controlli. Sicuramente, dovremo aspettare ancora prima che si riesca a guardare la luna.