Nonostante le promesse, vaghe e confuse in verità, del Governo, non c’è ancora alcuna chiarezza su come si possa riparare all’enorme danno procurato a migliaia di persone dal dissesto di Banca Etruria e Banca Marche e, in misura minore, delle Casse di Risparmio di Ferrara e Chieti.
Ci sono alcuni punti fermi, però. La disciplina europea in materia di corretta gestione delle banche e dei loro dissesti è cambiata progressivamente in questi anni, per impedire principalmente che le banche approfittassero di clienti non in grado di sopportare rischi e che, in caso di dissesto, il loro fallimento andasse a gravare sui contribuenti, contagiando l’intero sistema. Queste sono state le principali lezioni duramente apprese dalla crisi del 2007.
In questi anni, ci hanno spesso ripetuto che le banche italiane sono sane e che non c’era niente da temere: ora sappiamo che ci hanno detto bugie. Alcune banche lo sono: o perché hanno potuto raggiungere dimensioni che hanno consentito loro di ridurre progressivamente le sofferenze derivanti dalla crisi, che non smette ancora di logorare il sistema produttivo e sociale di questo paese; o perché si sono trincerate dietro una gestione estremamente oculata, riducendo notevolmente la loro capacità di credito. Altre banche, quelle che non hanno scelto né l’una né l’altra strada, si sono ben presto ritrovate “malate”, a volte per scarsa cautela, a volte anche con dolo da parte degli amministratori. Ci sono altre dodici banche commissariate (le trovate qui) oltre quelle citate all’inizio, e non potranno più essere salvate da nessun decreto ad hoc: da gennaio entra in vigore compiutamente la regola del bail in, che vuol dire che una banca in dissesto non fallisce solo se il capitale di azionisti e correntisti con più di 100.000 euro in deposito è sufficiente a salvarla; e se il sistema bancario ritiene opportuno intervenire in aiuto.
Dunque, è chiaro chi ha sicuramente salvato il decreto salva-banche, in zona Cesarini della regolazione transitoria che consente ancora il ricorso al Fondo di Risoluzione, che è un prestito dal sistema bancario, sollecitato dal Governo, che ha coinvolto Cassa Depositi e Prestiti per fornire garanzie a quel prestito. In quel decreto, una ulteriore tutela per gli amministratori e per il direttore generale delle banche commissariate viene fornita con l’esclusione di azioni sociali di responsabilità da parte dei truffati, se non c’è il consenso del commissario, del comitato di sorveglianza e, addirittura, di Banca d’Italia.
Per questo, e anche perché le posizioni di azionisti e obbligazionisti subordinati sono diverse, Federconsumatori sta raccogliendo documentazione e fornendo consulenza sulle singole posizioni, accettando anche deleghe individuali ad agire in giudizio contro i presunti responsabili di truffa ai risparmiatori. Nel caso degli azionisti la truffa deve essere dimostrata, ad esempio se ci sono state pressioni indebite all’acquisto di azioni per la concessione di mutuo, o informazione scorretta. Nel caso degli obbligazionisti subordinati è invece presupposta, in base alla disciplina europea, nel caso di riscontro di limitata capacità di risparmio e scarsa o nulla consuetudine all’investimento in titoli rischiosi; naturalmente, può anche essere dimostrata sulla base di informazione scorretta.
Per quello che riguarda il rimborso, in particolare degli obbligazionisti subordinati, il Governo intende costituire un fondo di solidarietà da 100 milioni di euro (probabilmente un quarto dell’ammontare di questo tipo di titoli in capo alle quattro banche); ma ha trovato sbarrata la strada della corresponsione diretta dalla disciplina europea, meritandosi già un richiamo dal Commissario Europeo alla Finanza, il quale ha suggerito il ricorso all’arbitrato. Nell’emendamento inserito nella legge di stabilità in via di approvazione, tuttavia, si parla di “ricorso eventualmente anche a procedure arbitrali”, senza però indicare quale sarebbe la controparte dei risparmiatori truffati, mentre il Governo avoca a sé la scelta degli arbitri, quando una procedura di arbitrato si caratterizza perché sono le parti a concordare gli arbitri, come i criteri di adesione e di ricorso. Dunque viene indicato come “arbitrato” qualcosa che non lo é. Per questo è sconsigliato accettare di aderire ad un arbitrato (oggi Federconsumatori l’ha fatto, acquistando una pagina de “La Nazione”), da chiunque venga proposto.
Possibile e i suoi Comitati nei territori sono al fianco dei risparmiatori, anche per dare indicazioni su dove andare per avere concreto sostegno alla legittima richiesta di risarcimento.