Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa.
Così recita l’Articolo 36 della Costituzione della Repubblica Italiana, e, se non rispettarlo significa incorrere nella “violazione dell’obbligo retributivo”, secondo la stima della Flc Cgil sono circa 25/30mila i docenti a tempo determinato che non solo non vengono pagati ormai da mesi (in molti casi fin da settembre), ma che spesso sono costretti a dar fondo ai risparmi per riuscire a mantenere se stessi, la propria famiglia, ma anche il posto di lavoro – trovandosi, in molti, a lavorare lontano da casa. Una situazione paradossale, questa, tanto che alcuni docenti si sono dovuti rivolgere perfino alla Caritas.
Eh sì, perché stiamo parlando dei cosiddetti precari, schiera di dipendenti statali appartenenti a quella categoria – denominata spregevolmente “supplentite” – che la legge 107/2015 emanata dal governo Renzi e passata alla storia come “Buona scuola” ha propagandato di essere in grado di eliminare; un anello tanto debole quanto necessario alla sopravvivenza della scuola pubblica. Insomma, triste Natale quello di chi, pur rispettando il proprio onere lavorativo ogni giorno, si vede leso ripetutamente nella dignità professionale proprio dallo Stato, che dovrebbe invece farsi garante dell’inviolabilità dei diritti di ciascun cittadino.
Certo, il 23 dicembre 2015 il MIUR ha emanato un comunicato in cui si impegna a stanziare i fondi necessari entro il 19 gennaio al fine di assicurare, si legge, la regolarità dei pagamenti di tutto il 2016 “senza più ritardi”. E tuttavia, questo comunicato – giunto comunque troppo tardi – resta un’inequivocabile ammissione di colpevolezza da parte di un governo incapace di gestire sistematicamente la pubblica istruzione; la prova, in altre parole, del fallimento di una riforma che, non a caso, ha ritrovato compatto il comparto dei lavoratori della scuola.
Se poi la promessa dei ministri Giannini e Padoan verrà smentita o confermata, lo vedremo presto, ma resta che l’impressionante ritardo accumulato continua a pesare sulle vite di trentamila docenti con contratti a tempo, senza contare che qualcuno di loro non ha ancora percepito nemmeno il pagamento della Naspi (la disoccupazione) e neanche quei pochi soldi per le ferie non fruite. E non è finita poiché al danno arrecato dai mancati pagamenti si aggiunge la beffa della tredicesima (per alcuni, pari ad un euro, per altri mai ricevuta) e del bonus acchiappavoti di 500 euro elargito ai docenti di ruolo e ai diciottenni.
Insomma, viene da chiedersi, i soldi ci sono o non ci sono?
«Sospeso in attesa di verifica capienza fondi» è la risposta che i supplenti hanno perlopiù ricevuto. Ma se i primi sintomi di una grave crisi aziendale solitamente sono i ritardi nel pagamento degli stipendi, in questo caso la mancata retribuzione non è attribuibile ad una crisi delle casse dello Stato, ma ad una mala gestione della Pubblica Amministrazione, a cominciare dall’insufficienza di fondi (680 milioni stanziati a fronte degli 800 previsti) e dall’inefficienza del sistema informatico del MIUR che appesantisce la mole di lavoro delle segreterie, già carenti di personale. Ma la verità è che, quest’anno, ad aggravare tale situazione sistematica, si è aggiunto l’errore di valutazione commesso dalla riforma: la realtà ha dimostrato che l’attivazione dell’organico potenziato non ha diminuito le spese per le supplenze, con la conseguente creazione di uno squilibrio tra disponibilità delle risorse e necessità di fatto. Per rimediare a tale errore, sembra quindi che le risorse per le supplenze ricadranno sull’esercizio finanziario del 2016 per mancanza di copertura su quello del 2015.
Insomma, la domanda è: i milioni messi a disposizione per saldare gli stipendi degli insegnanti precari verranno detratti dai milioni destinati alle future, tanto promesse, assunzioni di insegnanti precari? Mentre il dubbio rimane, è bene ricordare come si tratti di quegli stessi insegnanti precari che, nel frattempo, lavorano senza essere pagati. E continuano a lavorare perché, per loro, la scuola è e resta una cosa seria.
Maria Luisa Gares
Livorno Possibile