Ci sono leggi giuste e leggi sbagliate, leggi che potrebbero essere migliorate e infine leggi che sarebbero potute essere infinitamente migliori.
Su fine vita e dopo di noi siamo da tempo e seriamente mobilitati, come partito che ha l’eguale opportunità (ed opportunità di vita) nel simbolo, scientemente determinati in quelle che sono battaglie non di voti ma di vita.
La legge appena approvata dalla Camera sul dopo di noi non è una legge sbagliata, è soltanto una legge profondamente svuotata da ogni significato ed effetto, così come persino dalla sua stessa efficacia normativa, dato che quanto è stato approvato dai deputati e che ora passa al Senato si configura miserevolmente come l’ennesimo rattoppo, l’ennesimo fondo per la disabilità che punta più che altro a istituire un trust che è per l’appunto miserrima, pochissima cosa, ed è molto lontano dal garantire un “dopo di noi” come l’aspettativa dignitosa e la disperazione pura di tanti richiedevano. Tanti che hanno avuto poco o niente. L’ennesima elemosina. O mancia, se preferite. Noi spreferiamo entrambi e avremmo preferito di meglio, di molto.
Un vuoto normativo “finalmente” riempito con un provvedimento svuotato?
Un vuoto non si riempie con un altro vuoto; da questo Parlamento esce molto poco di nuovo.
Anche stavolta, ennesima volta.
Il dopo di noi era nato per garantire un futuro ai disabili gravi e gravissimi dopo la morte di genitori o parenti più prossimi e per evitare il confino negli istituti.
Ciò avrebbe risposto alla Coalizione europea per il vivere nella società (Eccl), di cui fanno parte diverse organizzazioni europee che si occupano di diversa abilità, che ha pubblicato un rapporto sull’Art. 19 della Convenzione Onu sui diritti dei disabili (Crpd): in esso vi sono raccomandazioni pratiche alla Commissione Europea, al Consiglio d’Europa, agli Stati membri, ai governi nazionali e alle autorità locali per favorire l’integrazione delle persone con disabilità nella società fuori dagli istituti, sovente fonte di segregazione e di esclusione. Viene stabilito che “tutte le persone disabili hanno il diritto di vivere in maniera indipendente e di partecipare alla società” e viene previsto il processo d’inclusione sociale dei diversamente abili nella comunità. Obbiettivi a portata di mano per tutti i diversamente abili, senza esclusioni, in ogni senso. E a portata di mano di attuali Governo e Parlamento, che però quella mano hanno scelto di ritirare lasciando sul fondo dello stagno solo un sassolino microscopico.
In sostanza, s’è solo stabilita e normata la gestione delle sostanze (che la famiglia lascerà al disabile).
Si perdoni il gioco di parole, ma è imperdonabile si ‘giochi’ a disporre della persona solo disponendo dei suoi beni, in una sorta di liquidazione di fine rapporto con l’autonomia dell’altrui vita.
Per tacere di quanti, da far gestire e giocare su qualche ruota sperando che giri bene, di denari di famiglia non ne hanno alcuno.
Per tutti questi motivi, del tutto amari, i parlamentari di Possibile si sono confrontati in un gesto personalmente e politicamente delicato e grazioso con alcune persone che vivono queste problematiche sulla propria pelle e su quella dei propri cari, per giungere in un processo partecipato e in quanto tale più (che) degno e legittimante, decidendo infine non di votare contro ma di astenersi su quel brandello di legge comunque da non stralciare, ma del tutto insufficiente a coprire quelle che sono le necessità, vitali, di ultimi che per questa volta, e speriamo non ancora a lungo, restano ultimi.
Noi, tuttavia, come Possibile restiamo in prima linea e stiamo già lavorando a un documento – speriamo più degno, egualitario, ficcante e giusto – in formula di impegno scritto da assumere e far firmare preventivamente a tutti i candidati alle prossime elezioni che, fra quattro mesi esatti, vorranno presentarsi alle elezioni amministrative con qualsiasi nostra forma d’appoggio.
Come a dire: volete noi, dovete volere tutti. Anche gli ultimi. Che non devono più esser tali.