Dunque, entriamo in guerra. Gli Stati Uniti ci hanno addirittura promesso il comando delle forze in campo in Libia. Sono soddisfazioni. Peccato che la partecipazione dell’Italia alla guerra libica contro Isis ponga una serie di controindicazioni democratiche e costituzionali di non poco momento.
L’art. 78 della Costituzione afferma che la dichiarazione dello stato di guerra compete al Parlamento che attribuisce al Governo i poteri necessari. E l’art. 11 della stessa Costituzione afferma perentoriamente il ripudio della guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e mezzo di risoluzione delle controversie internazionali. Si dirà che la lotta al terrorismo è guerra difensiva (non offensiva) e che anche in passato il Parlamento non è stato coinvolto (ad esempio, nell’operazione Allied Force contro la Serbia nel 1999). Si vuole fare passare l’idea che l’uso della forza armata e’ una scelta politica ordinaria, un atto di governo come un altro.
Noi crediamo che la scelta di usare le armi in Libia assumendoci il rischio di esporre l’Italia alla perdita di vite umane sul campo e nelle prevedibili ritorsioni terroristiche dell’Isis rappresenti un fatto politico di eccezionale rilevanza e non possa esimere il Governo da un passaggio parlamentare. Finché il referendum non confermerà l’impianto della riforma Boschi, che sulla deliberazione dello stato di guerra prevede la maggioranza assoluta dei votanti (e non dei componenti) della sola Camera, siamo ancora in una democrazia costituzionale e parlamentare. E vanno rispettate le regole che vedono il Governo ricevere i poteri necessari dal Parlamento. Non viceversa.