Tra poco più di una anno Parma andrà al voto amministrativo. I comitati cittadini di Possibile hanno iniziato un percorso per elaborare una nuova agenda per la città. Il primo momento, un pomeriggio di ascolto che si è svolto lo scorso 5 marzo, ha visto gli interventi di venti persone, associazioni, comitati che hanno raccontato la loro visione della Parma del futuro.
Sono partiti dalle loro esperienze di cittadinanza attiva in difesa della qualità di servizi educativi, welfare, ambiente, cultura, biblioteche, lavoro, partecipazione. Sette minuti a testa per comporre i tasselli della “città possibile”, quella che rifiuta l’idea che non ci siano alternative, come ha sottolineato Elly Schlein nel suo intervento che ha collegato il nostro percorso a quello in atto in altre città.
Il prossimo appuntamento sarà dedicato a tavoli di lavoro tematici che, partendo dagli spunti emersi, immagineranno strade di azione. E poi la terza fase, prima dell’estate, quella dei primi progetti concreti che mettano le idee alla prova della sostenibilità.
Abbiamo iniziato dall’ascolto di esperienze per essere aiutati a intercettare le domande vitali della città. E poi elaborare insieme risposte puntuali e innovative. Non è questo incrocio, così decisivo e delicato, tra domanda e risposta che ci affascina della politica? Non è questo che dà all’amministrare un’anima? Perché la risposta può essere tecnicamente perfetta, ma inutile o addirittura dannosa se non soddisfa una domanda che le dia senso.
In uno dei tanti lavori appesi alle pareti del liceo artistico dove insegno, ho letto una frase tratta da “Le città invisibili” di Calvino. Marco Polo, raccontando i suoi viaggi — reali o immaginari — dice a Kublai Kan, imperatore dei Tartari: “D’una città non godi le sette o le settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda”.
Questi miei quattro anni in consiglio comunale mi dicono che la politica ha ancora grandi possibilità nel dare risposte. Ma che ha paura: paura di incontrare domande che non aveva previsto, paura di tentare risposte che non siano già state sperimentate.
Così le risposte, a livello nazionale come locale, finiscono per assomigliarsi tutte. E l’astensionismo cresce: non solo per stanchezza della politica, ma soprattutto per voglia di più politica. Di più differenza. Di più profondità di analisi. Di più radicalità di cambiamento.
Nella vittoria del Movimento 5 stelle nelle amministrative di Parma di quattro anni fa c’era tutto questo. La città veniva dalla parabola finale di una stagione, quella del supposto civismo, in cui troppi si erano illusi che destra e sinistra non contassero più: l’importante era dare risposte ai cittadini. Risposte immediate e per tutti, che creassero consenso presente senza guardare all’equilibrio economico futuro. Anche a costo di allargare, fino strapparle, le maglie della legalità. Così ci ritroviamo quartieri non conclusi e condomini disabitati; opere che non hanno abbellito la città, anzi; il proliferare di società partecipate; il deficit che diventa debito fuori controllo; il Comune svuotato di funzioni e patrimonio. La città si è resa improvvisamente conto di quanto sia pericoloso lasciare interpretare passivamente le proprie domande dal potere politico, senza disturbare il manovratore.
E nel 2012 all’esperienza nell’amministrare, da qualunque parte fosse proposta, gli elettori hanno preferito il cambiamento dell’agenda dell’amministrare. E delle sue modalità: basta deleghe in bianco. Era la domanda di più partecipazione e controllo dei cittadini, di una decisa inversione sul consumo di suolo, di modalità alternative di smaltimento dei rifiuti. Era la domanda di valorizzazione del commercio di vicinato, di una mobilità sostenibile, di proposte culturali diffuse e aperte alla sperimentazione. Era la domanda di un welfare innovativo e comunitario, di un ruolo più forte dell’ente pubblico nel pensare e gestire i servizi educativi, di un’idea nuova e insieme più efficace di sicurezza. Era la domanda di una politica autonoma, in grado di essere guida del cambiamento, anche negli equilibri di potere della nostra città.
Quelle promesse di cambiamento, implicite o chiaramente esplicitate nel programma, sono state in gran parte tradite. E allora c’è il rischio che alle prossime amministrative cresca il numero dei cittadini che sceglierà di non votare. O che penserà che la parola “cambiamento” sia ormai usurata e che il solo pronunciarla sia da ingenui. O che crederà che è meglio tornare indietro, perché “alla fine sono tutti uguali”. O che si lascerà trasportare dalla deriva moderata del partito della nazione.
Il nostro percorso parte da qui. Dalla scommessa che quella voglia di città possibile sia ancora viva. “Possibile” non come l’arte del compromesso possibile, ma come l’esplorazione di altre strade possibili. Dopo la Parma primo laboratorio in Emilia Romagna del centrodestra nel 1998 e poi primo laboratorio in Italia dei 5 stelle nel 2012, siamo convinti che per il 2017 possiamo attivare nella nostra città, con il contributo di tanti, un nuovo laboratorio dell’alternativa, culturale prima ancora che politica.
Siamo partiti più di un anno prima perché le idee nuove e profonde hanno bisogno di tempo per crescere. Siamo partiti dai contenuti e non da nomi, sigle, tavoli, alleanze perché il programma sia il motore iniziale e non l’equilibrismo dell’ultimo momento o un manifesto irrealizzabile. Siamo partiti in modo largo e partecipato perché o questo percorso sarà largo e partecipato o non sarà.
E, dopo il primo appuntamento, la città possibile ci è sembrata già un po’ più reale.
Giuseppe Bizzi
Consigliere comunale di Possibile a Parma