Il referendum sulla permanenza o meno del Regno Unito nell’Unione Europea, vinto di misura dai sostenitori del “Leave”, è il segnale inequivocabile della necessità di una presa di coscienza.
Le prime indicazioni che ci sono giunte dalle analisi dei flussi di voto dimostravano in maniera plastica una frattura generazionale: i giovani tra i 18 ed i 24 anni hanno votato in massa — circa il 74% — per la permanenza nell’Unione. Persino la fascia d’età successiva, se pur con un margine inferiore, ha sostenuto le ragioni del “Remain”: sono coloro che hanno vissuto la nascita del sistema Erasmus, che vanno dai 25 ai 49 anni. Mano a mano che l’età cresce questa situazione si capovolge. I dati più recenti sull’affluenza al voto, però, segnalano che tra gli elettori più giovani meno della metà sono andati a votare, mentre l’elettorato più maturo si è recato in gran parte alle urne per esercitare il diritto di voto. Questo aspetto deve far preoccupare ulteriormente: se tra gli anziani è prevalso il sentimento di chiusura, tra i più giovani è stata l’indifferenza a determinare i risultati a cui assistiamo oggi.
Ora, qui non si tratta di essere favorevoli al mantenimento dell’attuale stato di cose all’interno dell’Unione, non si tratta di essere aderenti alle scelte adottate nell’ultimo decennio dalla classe dirigente europea, non si tratta nemmeno di un posizionamento ideologico a favore dell’integrazione. Il problema è che il sentimento di rabbia, frustrazione, solitudine, chiusura, disincanto e sfiducia cavalcato dalle destre estreme sta definitivamente facendo breccia. Sono i partiti razzisti e xenofobi, spesso dichiaratamente neofascisti, a volere che questa dissoluzione dell’orizzonte comune avvenga il prima possibile. Sono i Farage, i Le Pen, i Salvini, a sostenere le ragioni di un ritorno al passato, ai particolarismi nazionali.
Dunque è giunto il momento per le giovani generazioni di alzare la voce, di conquistarsi lo spazio politico che ci è sempre stato negato, di assumersi la doppia responsabilità di salvare ciò che di buono è stato fatto dal Secondo Dopoguerra ad oggi per rendere l’Europa un luogo di pace dopo secoli di conflitti, violenze, guerre, morte e distruzione, e di delineare prospettive di cambiamento e progresso, anziché di arretramento. Come dimostra l’esito del Referendum inglese, e le reazioni che ha suscitato, non potremo farcela se non saremo in grado anzitutto di risvegliare nei nostri coetanei un sentimento di interesse per la dimensione pubblica, politica delle nostre vite, contro l’ indifferenza che oggi prevale.
Non possiamo più attendere oltre per svegliarci: la sveglia sta suonando da un po’. Da quando è scoppiata la crisi economica, divenuta poi crisi sociale perché è stata fatta pagare agli ultimi ed alla classe media; da quando le diseguaglianze sono esplose; da quando fiumi di migranti in fuga dal Sud del mondo hanno cominciato a bussare alle nostre porte ed i nostri governi hanno deciso di non gestire il problema in maniera comune e solidale; da quando l’establishment europeo, trainato dalla Germania, ha deciso di voltare le spalle alla Grecia abbandonandola a se stessa in maniera tanto brutale e cinica; da quando hanno deciso che le conquiste sociali ed i diritti fossero un impedimento alla crescita economica; da quando hanno creduto che bastasse un’élite di tecnici e burocrati per governare processi tanto imponenti.
Abbiamo la responsabilità di mettere da parte le nostre appartenenze, le nostre divisioni, le nostre ambizioni particolari, per dare vita insieme ad un grande mobilitazione generazionale di risposta alla deriva reazionaria imboccata, come fecero i nostri nonni e bisnonni partigiani nella guerra di Resistenza. Ad ogni generazione la sua battaglia, e questo è il nostro turno per decidere da che parte della storia vogliamo stare. Alziamoci e prendiamo la parola prima che sia tardi – pretendiamola! — nella convinzione che l’Europa unita vada cambiata. ma non distrutta, ispirandosi ai principi di solidarietà, di eguaglianza, di rispetto nella diversità, di pace e di condivisione.
Perché tutto questo non rimanga solo retorica, vi invitiamo a fare rete con tutte le realtà e le singolarità che si dimostrino altrettanto preoccupate per la situazione attuale, che si dichiarino saldamente antifasciste e vogliano mettersi in gioco. Partiti, associazioni, sindacati, studenti, lavoratori, semplici cittadini. Organizziamo assemblee pubbliche, discutiamo, stendiamo una piattaforma comune ed il più possibile coinvolgente, al di là degli steccati e degli interessi particolari.
Poiché quello che c’è in gioco non è la vittoria alle prossime elezioni, né il consenso elettorale, ma il destino del nostro mondo e la possibilità di rendere il futuro un posto migliore in cui vivere, lasciandoci alle spalle i fantasmi del passato.
Comitato Università Bologna di Possibile