Lo zaino è pronto e la partenza è vicina. Nei prossimi giorni, su queste pagine, cercherò di raccontare quanto vedrò nel mezzo della rotta migratoria balcanica, in Serbia, dove mi troverò per circa una settimana in compagnia degli amici di “Speranza — Hope for children”.
Da più parti si racconta che, grazie ai muri e allo sciagurato accordo UE-Turchia, la rotta balcanica sia chiusa. Non è così: se l’anno scorso sono transitate oltre 700mila persone, almeno 100mila ne sono passate attraverso la Serbia da gennaio ad oggi, dichiarano fonti governative. Il conteggio di Frontex (l’agenzia europea per il controllo delle frontiere) è arrivato a 120mila, a fine giugno, sull’intera rotta.
Le restrizioni, però, hanno avuto almeno due conseguenze.
La prima: da più fonti è stata documentata l’esistenza di milizie (non si capisce bene formate da chi) in Bulgaria a caccia di migranti.
La seconda: aumentando le restrizioni, ovviamente le persone già presenti in Serbia — e in transito — sono rimaste bloccate in Serbia. A Belgrado, così come al confine con l’Ungheria.
Frammenti, appunti, fotografie li troverete, con una maggiore frequenza, su questo piccolo blog, dedicato a Nessun Paese è un’isola e a questa esperienza: tutto si tiene.
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