Letta l’intervista che Enrico Rossi, il governatore della regione Toscana, ha rilasciato al blog Linkiesta, dal titolo: Ripartiamo da Gramsci e Berlinguer per costruire la sinistra del futuro, da residente in Toscana mi sono immediatamente domandata quali fossero i presupposti alla base di un’intenzione del genere. Provo allora a ripercorrere alcuni passaggi politici per me fondamentali.
È del maggio 2014, solo tre mesi dopo l’arrivo di Renzi al governo, la delibera della giunta regionale che ha disposto la vendita delle azioni di Sat, la società aeroportuale che gestisce l’aeroporto di Pisa e fino ad allora pubblica, detenute dalla Regione Toscana. Con questa decisione la giunta, presieduta da Rossi, scelse di aderire all’Opa, lanciata dalla multinazionale argentina Corporation America, sullo scalo pisano, permettendo così ad una società privata di acquisire la maggioranza azionaria di Sat. Per portare a compimento questa operazione non vi fu neppure la convocazione urgente del Consiglio regionale.
Inutile dire che fin da subito questa operazione, tutta finanziaria, sembrò essere destinata a favorire l’aeroporto di Firenze, non esattamente una città a caso. Il timore, ben presto rivelatosi fondato, era che il socio privato, appoggiato fin dall’inizio dell’operazione dal presidente dell’Enac Vito Riggio, avrebbe spinto per la costruzione della pista di 2400 metri nell’aeroporto fiorentino, nonostante il parere contrario degli uffici tecnici della Regione – ‘per le notevoli e gravi criticità rispetto a impatto socio-sanitario, gli aspetti programmatici, progettuali, ambientali, ambiente idrico, suolo e sottosuolo, vegetazione, criticità sul paesaggio e i beni culturali, sugli agenti fisici e sul rumore’ — e l’opposizione di numerosi comitati di cittadini residenti nella Piana.
Tant’è. Il 17 giugno 2014, per ironia della sorte giorno del patrono pisano, la SAT è ufficialmente privatizzata. E nei giorni subito successivi, con un tempismo assai sospetto, Matteo Renzi, in un’intervista a RTV38, ‘incoronò’ Enrico Rossi candidato alla presidenza della Regione Toscana..
Nel febbraio 2015 vi fu l’ultimo atto di tutta l’operazione, ossia la fusione tra gli aeroporti di Pisa (Sat) e Firenze (Adf), sostituite da un’unica società, Toscana Aeroporti, alla cui presidenza venne nominato Marco Carrai, già presidente di Adf, nonché l’amico di sempre di Matteo Renzi.
Nel frattempo, il decreto Sblocca-Italia, approvato in via definitiva nel novembre 2014, aveva stanziato 50 milioni di euro a favore dello scalo fiorentino e altri 100 erano stati promessi dall’allora ministro Lupi, attraverso provvedimenti ad hoc. Insomma, soldi pubblici destinati a garantire profitti privati.
È dello stesso mese l’uscita del programma Pd a sostegno della candidatura di Enrico Rossi alla presidenza della Regione, nel quale in modo del tutto esplicito si parla della Toscana quale ‘laboratorio’ delle politiche del governo Renzi, a partire dal Jobs Act. Un testo fortemente «renziano» per un presidente «berlingueriano», titolava Il Corriere, segno che lo storico leader del Pci aleggiava già nello storytelling del governatore toscano.
Ma torniamo un attimo indietro. L’11 settembre 2014 fu approvata la nuova legge elettorale toscana, detta ‘Toscanellum’, nata sostanzialmente da un accordo tra Pd e Fi, tanto che ci fu chi ne vide una sorta di Patto del Nazareno in versione locale.
La presenza di un listino bloccato, la previsione del ballottaggio con meno del 40% dei voti al primo turno, l’elevato premio di maggioranza ricordano molto da vicino la futura legge elettorale nazionale. Tant’è che il senatore lucchese Andrea Marcucci, renziano doc, dichiarò: “Come avvenne nel 2005, ci auguriamo che il sistema elettorale toscano serva ad una rapida approvazione all’Italicum”. Già perché già nove anni prima un accordo molto contestato tra tal Denis Verdini, allora consigliere regionale, e i Ds portò al varo della legge elettorale che aboliva le preferenze e che fu considerata da molti l’apripista del Porcellum, di calderoliana memoria. Insomma, la Toscana quale laboratorio anche di pessime leggi elettorali.
Esattamente sette mesi dopo, ossia l’11 marzo 2016, il Consiglio regionale della Toscana ha varato la riforma della sanità regionale. Una riforma approvata in fretta e furia poco più di due mesi prima dallo svolgersi delle elezioni amministrative regionali e solo tre settimane prima dello scioglimento del consiglio regionale. I tempi strettissimi, tenuto conto che la proposta di riforma arrivò in consiglio solo a metà gennaio, hanno impedito ogni tipo di partecipazione e discussione pubblica, ma si direbbe anche a livello di consiglio regionale. La lettura che di questa ‘veloce’ riforma fu data da molti fu di una sorta di arma di distrazione di massa, dopo i ripetuti tagli al fondo sanitario nazionale (quello subito precedente alla legge fu di oltre 2,3 miliardi di euro), e le conseguenti crescenti difficoltà dei cittadini toscani di fruire dei servizi sanitari pubblici per liste di attesa sempre più lunghe e ticket sempre più esosi (che favoriscono evidentemente la convenienza dei servizi privati). Tagli sempre sottaciuti da Rossi.
Inoltre, la macro-fusione delle Asl, passate da 12 a 3, col conseguente accorpamento delle strutture e accentramento dei centri amministrativi e decisionali, è in totale sintonia col generale disegno renziano di concentramento di poteri sempre in meno mani, di cui la riforma costituzionale, su cui i cittadini italiani andranno a decidere nel prossimo autunno, è la chiosa finale. Siamo dunque di fronte ad un altro laboratorio?
Numerose sono state da subito le proteste da parte dei sindacati delle categorie, per lo più taciute dalla stampa, a tal punto che i sindacati medici dovettero acquistare una pagina dei principali quotidiani per rendere pubbliche le loro critiche alla legge. Tali proteste, insieme a quelle di numerosi cittadini, tuttavia, sono riuscite a convogliarsi in un movimento che ha raccolto 55000 firme per l’indizione di un referendum regionale, che chiedeva l’abrogazione della riforma sanitaria toscana.
Ecco allora che a dicembre dello scorso anno, dopo soli nove mesi dall’approvazione della prima riforma sanitaria, vi è una nuova approvazione frettolosa di una riforma sanitaria, o meglio, lo stralcio di quella esistente, il che fa saltare lo svolgimento del referendum. Ovviamente l’impianto normativo generale contestato rimane inalterato.
I comitati referendari tuttavia non intendono arrendersi e hanno già chiesto un nuovo referendum, questa volta per abrogare un articolo solo ma fondamentale nella sostanza e per quanto sottintende. Si tratta dell’articolo 34 bis che prevede per le Asl la possibilità di assegnare servizi sanitari senza un concorso pubblico, ma solo con una semplice convenzione. Per il legislatore si tratta di una sperimentazione (l’ennesimo laboratorio?), ma è evidente che non vi si può non intravedere il tentativo di inserire elementi privatistici all’interno del sistema sanitario pubblico regionale.
E si torna alla vicenda aeroporto. È dei giorni scorsi la sentenza del Tar di Firenze, che dà ragione ai comitati cittadini della Piana che vi si erano appellati, annullando la variante regionale al Pit che prevedeva l’allungamento della pista dello scalo fiorentino. Le motivazioni dell’annullamento addotte dal Tar sono tutte rivolte a sottolineare l’impatto su sistema idraulico, aree protette, paesaggio e inquinamento della nuova pista, così come da anni vanno dicendo le comunità locali.
Nel dichiarare la sua ferma intenzione di ricorrere al Consiglio di Stato contro la decisione del Tar, Enrico Rossi aggiunge: È normale che in decisioni così importanti, in questo paese possano verificarsi incidenti amministrativi, ma questi non possono né rimettere in discussione, né rallentare decisioni politiche che sono state assunte con attenta ponderazione di tutti gli aspetti. Noi andiamo avanti per la realizzazione dell’aeroporto, aumentando la nostra attenzione”. Ogni commento è superfluo.
Dulcis in fundo, vi è il Sì, espressamente dichiarato da Enrico Rossi, al referendum costituzionale del prossimo autunno. Ma, a questo punto, non mi pare neppure ci sia più da stupirsi.
Ecco, prendendo a prestito quella che per me è la più bella definizione di sinistra che ho letto, La sinistra è sempre e soltanto la forza che lotta contro le tre grandi diseguaglianze: di potere, di sapere, di reddito, di Massimo L. Salvadori, mi domando: ma davvero si può pensare che Renzi e Rossi possano rappresentare due idee diverse di partito? Due idee diverse nel partito? E se allora, come con tutta evidenza sembra, i due profili politici sono in perfetta sintonia, non sarà che a Renzi si stia, opportunisticamente, attribuendo troppe responsabilità riguardo quello che è (non diventato), nei suoi valori fondanti, il Partito Democratico?
Emanuela Amendola
Portavoce Comitato Gli Spettinati di Pisa