Quello che segue è il testo della seconda newsletter di Nessun Paese è un’isola. Per iscriversi è necessario compilare il form che si trova qui.
UNA NUOVA CORTINA DI FERRO DIVIDE L’EUROPA?
La notizia ci è sfuggita per poche ore, nella scorsa newsletter. Un nuovo muro verrà eretto in Europa, sempre con lo stesso scopo: bloccare i migranti. Sorgerà a Calais, dovrebbe essere completato entro la fine dell’anno, costerà circa 2,7 milioni di euro, sarà in calcestruzzo liscio ed è parte di un accordo più ampio tra autorità inglese e francesi finanziato da Londra con circa 20 milioni di euro.
LA SETTIMANA DEI BAMBINI
La settimana scorsa è stata senza ombra di dubbio la settimana dei bambini, al centro di un report di Save the Children e di un report di Unicef. La prima organizzazione ha posto l’attenzione su diversi punti critici, a partire da una considerazione: si rischia che un’intera generazione abbia più famigliarità con il filo spinato che con i banchi di scuola, con conseguenze che non possiamo nemmeno immaginare. Le altre questioni sollevate:
- Le estesissime violazioni dei diritti dei minori negli hotspot in Italia e nei campi lungo tutto la rotta balcanica.
- La necessità di introdurre canali preferenziali per i ricollocamenti di minori in Europa, in particolare dalla Grecia (nei campi ne sono presenti 24mila).
- Le difficoltà italiane: posti insufficienti per i minori, oltre 5mila irreperibili, difficoltà nell’accertamento dell’età (anche a causa di dichiarazioni false: c’è chi si dichiara minorenne pur non essendolo e viceversa).
Unicef, invece, parla addirittura di 50 milioni di bambini in fuga, 28 milioni dei quali da conflitti e violenza diffusa. I rifugiati “bambini” sarebbero 10 milioni.
Tornando al precedente discorso sul muro, a Calais vivono circa 860 minori non accompagnati per i quali il governo britannico – denuncia Alf Dubs al Guardian – non sta facendo nulla, nonostante l’impegno assunto quattro mesi fa con l’Immigration Act ad accogliere una parte degli oltre 88mila minori non accompagnati che si stima siano arrivati nel 2015 in Europa.
LA POLITICA CHE FA?
Continua a fare le stesse cose dei mesi scorsi, in sostanza. Angela Merkel ha dichiarato che bisogna replicare l’accordo tra Unione Europea e Turchia con altri paesi, quali Egitto e Tunisia. Un buon accordo, dice Merkel, perché così «molti profughi possono rimanere vicino alla loro patria». Un concetto molto curioso: i migranti che vogliono rimanere vicino alle proprie case già lo fanno, senza bisogno che Merkel glielo spieghi (si veda alla voce: “rifugiati in Pakistan”, o “rifugiati in Libano”). In secondo luogo Merkel considera l’Egitto un paese sicuro, guardacaso nelle stesse ore in cui veniva reso pubblico l’esito dell’autopsia sul corpo di Giulio Regeni: un racconto assolutamente terribile e che grida giustizia.
Lo stesso tipo di approccio (fatto di chiusura delle frontiere nei paesi di partenza, grazie ad accordi con governi di ambigua natura — diciamo così) sta alla base del cosiddetto Migration compact, la proposta italiana fatta propria dalle istituzioni europee. Juncker (presidente della Commissione) ha rilanciato il piano questa mattina, durante il discorso sullo stato dell’Unione: l’idea è arrivare a 44 miliardi di euro grazie a investimenti privati, a partire da un investimento di Bruxelles che si è sempre detto sarà di circa 3 miliardi. A prescindere dalle finalità, 44 miliardi (se mai verranno raggiunti) saranno tanti? Per farsi un’idea è opportuno ricordare che le rimesseinviate dai migranti lo scorso anno sono state pari a 460 miliardi di dollari, mentre la FAO dice che servono 265 miliardi di dollari all’anno (aggiuntivi rispetto a quanto stanziato ora) per sconfiggere la fame e la povertà estrema su scala globale.
Nel frattempo prosegue a ritmo bassissimo il ricollocamento da Grecia e Italia verso gli altri paesi europei, che si configura sempre più come una politica che favorisce alcune nazionalità a discapito di altre. Bisogna ricordare una cosa centrale: non stiamo parlando di politiche migratorie, ma stiamo parlando di diritto all’asilo, quindi di persone in fuga da persecuzioni di varia natura e che richiedono protezione. In questo caso, perciò, non si può operare alcun tipo di distinzione: tutti coloro che scappano da una guerra, ovunque essa sia, vanno trattati allo stesso modo, perché non conta la provenienza, ma la singola storia e i motivi della fuga. Il diritto all’asilo è un diritto assolutamente individuale: introdurre degli elementi discriminatori significa aprire una frattura che rischia dicompromettere un’intera architettura giuridica.
Infine, venerdì si aprirà a Bratislava il vertice UE. Sarà un appuntamento sicuramente importante per quanto riguarda i migranti. Slovacchia, Cechia e Polonia, guidate dall’Ungheria, sono tra gli alfieri della chiusura delle frontiere. Tra l’altro in Ungheria si terrà a breve un referendum il cui scopo è rifiutare qualsiasi sistema di redistribuzione europeo, secondo la logica “l’UE non può imporci chi far passare dalle nostre frontiere”. Il clima è distesissimo, insomma.
Queste preoccupazioni sono giustificate? Nella scorsa newsletter abbiamo detto che sono presenti in Grecia circa 50mila richiedenti asilo e rifugiati. Bene, il governo greco ha comunicato che ora sono 60mila. Il flusso lungo la rotta balcanica è certamente diminuito, ma non è stato assolutamente bloccato dall’accordo con la Turchia. D’altra parte parliamo di persone che scappano da guerra e fame, non in viaggio di piacere.
COMO — TARANTO A/R
I respinti alla frontiera svizzera di Como vengono presi, caricati su pullman, trasferiti a Sud, in particolare presso l’hotspot di Taranto. Questo è quanto denunciano diversi volontari e questo è quanto è stato portato in Parlamento da Possibile, con un’interrogazione firmata da Andrea Maestri e Giuseppe Civati e sostenuta dall’Europarlamentare Elly Schlein. Che senso abbia prendere persone già identificate e portarle in un hotspot rimane un mistero, proprio perché gli hotspot dovrebbero avere l’unica funzione di identificare i migranti e sono strutture che in questo periodo sono letteralmente al collasso.
VERSO UNA NUOVA GOVERNANCE DELL’ACCOGLIENZA?
Un vertice al Viminale ha tracciato le linee guida peraggiornare il sistema di accoglienza, di fatto cercando di investire sul modello SPRAR (servizio protezione richiedenti asilo e rifugiati). Il governo scrive così:
Due sono i pilastri del nuovo sistema di accoglienza:
- l’adesione volontaria allo SPRAR, da parte dei Comuni, cui viene presentata l’alternativa tra l’entrare in un sistema ordinario e istituzionale o assistere al trasferimento di richiedenti asilo sul proprio territorio, stabilito a livello centrale sulla base di un piano nazionale di ripartizione;
- una modalità di accreditamento “continuo” allo SPRAR, che superi così l’attuale complessità imposta dalla periodicità di pubblicazione dei bandi di adesione e che si caratterizzi per una gestione “a liste sempre aperte” per accogliere le domande degli Enti locali, senza più vincoli temporali, ma solo in base alla disponibilità delle risorse, istituendo una sorta di albo permanente in cui accreditarsi.
Si cerca perciò di superare alcune rigidità del sistema. Ma si potrebbe fare di più, costruendo degli incentivi positivi (ne abbiamo parlato con Daniela Di Capua, direttrice SPRAR, in Nessun Paese è un’isola).
COSE DA GUARDARE
Ricordate che nella precedente newsletter vi dicevo dell’accoglienza in casa? Internazionale ha girato un breve video su un’esperienza di accoglienza in famiglia ad Asti. Sono cinque minuti davvero ben spesi.
Kiron: una start-up nata da una domanda, “se ci sono almeno 6,5 milioni di rifugiati che hanno i requisiti per accedere a un elevato livello di istruzione, perché non dargli questa possibilità?”. E insomma, ci stanno provando, attraverso percorsi formativi basati sull’e‑learning, ma anche percorsi tradizionalissimi in collaborazione con le università.
Esodi: una bellissima mappa interattiva delle rotte subsahariane, elaborata da MEDU (Medici per i Diritti Umani) sulla base di numerosissime testimonianze. Internazionale ne ha sintetizzato i contenuti in un articolo (ma navigatela comunque: è molto bella!).
MUST READ
Il reportage di Fabrizio Gatti (altro protagonista di “Nessun Paese è un’isola) dal Cara di Foggia, dove è entrato clandestinamente per passarvi una settimana da finto richiedente asilo. Alfano ha in seguito aperto un’inchiesta.
Alberto Negri su Il Sole 24 Ore riepiloga un po’ di cose sulla guerra in Siria, a partire dai sui costi, per arrivare a quali sarebbero i dividendi della pace.
Eccoci arrivati alla fine. Come sempre, ti invito a contattarmi per domande, segnalazioni, eccetera.
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Il tour di presentazione di Nessun Paese è un’isola fa tappa a Salerno il 17 settembre e a Varese il 23 settembre.
A settimana prossima!
stefano
@stefanocatone