La faccia accogliente di un’Europa che tra qualche anno si vergognerà

Ospitiamo il racconto di Giacomo Negri e Valeria Di Stefano che, durante l'estate, hanno svolto attività di volontariato presso il campo per rifugiati di Eleonas, ad Atene.

Ospi­tia­mo il rac­con­to di Gia­co­mo Negri (Comi­ta­to Pos­si­bi­le Rosa Parks di Mila­no) e Vale­ria Di Ste­fa­no che, duran­te l’e­sta­te, han­no svol­to atti­vi­tà di volon­ta­ria­to pres­so il cam­po per rifu­gia­ti di Eleo­nas, ad Atene.

 

Il cam­po di Eleonas

Eleo­nas è un cam­po rego­la­re, gesti­to dal gover­no gre­co, che sor­ge in una zona ex-indu­stria­le di Ate­ne, non lon­ta­no dal cen­tro. Lo spa­zio è divi­so in tre aree, una del­le qua­li è con­trol­la­ta dall’esercito, men­tre nel­le altre due ope­ra, tra le altre, l’associazione Pro­ject Elea. In tota­le gli abi­tan­ti del cam­po, che han­no dirit­to ad entra­re e usci­re a loro pia­ci­men­to a qual­sia­si ora, sono cir­ca 2500, di cui la metà bam­bi­ni, pro­ve­nien­ti in pre­va­len­za da Siria e Afgha­ni­stan, segui­ti da Iraq, Iran e Paki­stan, cosic­ché le lin­gue più par­la­te sono ara­bo e far­si. Le nazio­na­li­tà rap­pre­sen­ta­te sono in tota­le una tren­ti­na. Le abi­ta­zio­ni sono pre­fab­bri­ca­ti di cir­ca 20 metri qua­dra­ti, costi­tui­ti da due came­re e un bagno cen­tra­le, con fine­stre e aria con­di­zio­na­ta. In cia­scu­no di essi sono allog­gia­te dal­le sei alle dodi­ci per­so­ne, divi­se per fami­glie, quan­do pos­si­bi­le, o per genere.

 

Il cibo

Ven­go­no distri­bui­ti tre pasti al gior­no e il cibo arri­va già pron­to, divi­so in mono­por­zio­ni in con­te­ni­to­ri di pla­sti­ca. La quan­ti­tà gior­na­lie­ra di lat­te a dispo­si­zio­ne è tal­men­te esi­gua (30 litri) che si aspet­ta cir­ca una set­ti­ma­na per accu­mu­lar­ne a suf­fi­cien­za e poter­ne con­se­gna­re mez­zo litro a fami­glia. I pasti ven­go­no riti­ra­ti dagli abi­tan­ti del cam­po pres­so il pre­fab­bri­ca­to dedi­ca­to, mostran­do un con­tras­se­gno che iden­ti­fi­chi qua­le sia la loro abi­ta­zio­ne. Il pro­ble­ma prin­ci­pa­le risie­de nel fat­to che il cibo non è cer­to appe­ti­to­so e il menu è mol­to ripe­ti­ti­vo, per­ciò non sem­pre tut­te le fami­glie lo richie­do­no. La con­se­guen­za è che ogni sera si but­ta­no tra le 200 e le 400 por­zio­ni: una pesan­te con­trad­di­zio­ne di cui è faci­le sen­ti­re il bru­cio­re giran­do per Ate­ne e osser­van­do le cen­ti­na­ia e cen­ti­na­ia di per­so­ne, gre­ci com­pre­si, che vivo­no in strada.

 

I vesti­ti

Seguen­do un calen­da­rio rego­la­re, oppu­re die­tro spe­ci­fi­ca chia­ma­ta per alcu­ni casi par­ti­co­la­ri, le fami­glie ven­go­no a chie­de­re ciò di cui han­no biso­gno pres­so la caset­ta pre­fab­bri­ca­ta dedi­ca­ta e pos­so­no rice­ve­re al mas­si­mo un capo d’abbigliamento per tipo per per­so­na (una magliet­ta, un paio di pan­ta­lo­ni, un paio di cal­ze e di mutan­de e così via). C’è gen­te che ha solo i vesti­ti con cui è arri­va­ta, il che vuol dire nien­te cam­bi per set­ti­ma­ne. Tut­to quel­lo che si distri­bui­sce pro­vie­ne da dona­zio­ni, alcu­ne meri­to­rie, altre meno: anco­ra una vol­ta ci sia­mo resi con­to che rega­la­re non può voler dire svuo­ta­re il guar­da­ro­ba per disfar­si del­la fuf­fa immettibile.

 

Gli abi­tan­ti del campo

Nei mesi di luglio e ago­sto è sta­to mes­so in atto un pia­no straor­di­na­rio del gover­no gre­co per cer­ca­re di inse­ri­re a scuo­la, da set­tem­bre, quan­ti più bam­bi­ni pos­si­bi­le, per cui due­cen­to di loro han­no fre­quen­ta­to dei cor­si ad hoc. Gli adul­ti inve­ce non han­no nul­la da fare, se non arro­vel­lar­si il cer­vel­lo sul­la loro situa­zio­ne dif­fi­cil­men­te soste­ni­bi­le (una per­so­na ha ten­ta­to il sui­ci­dio nei gior­ni in cui abbia­mo lavo­ra­to ad Eleo­nas) e que­sto è uno dei pro­ble­mi più evi­den­ti. Inu­ti­le (ma for­se non per tut­ti) sot­to­li­nea­re quan­to un tele­fo­no con cui si pos­sa comu­ni­ca­re via inter­net sia fon­da­men­ta­le per fami­glie che si tro­va­no a miglia­ia e miglia­ia di chi­lo­me­tri dal­le pro­prie case e che han­no per­so tut­to. Il cel­lu­la­re diven­ta anche un depo­si­to di ricor­di da con­ser­va­re e da con­di­vi­de­re: le per­so­ne che, duran­te la nostra per­ma­nen­za al cam­po, ci han­no gene­ro­sa­men­te ospi­ta­to per un tè con frut­ta o dol­ci spes­so mostra­va­no con un misto di orgo­glio e malin­co­nia le foto del­le case che han­no abban­do­na­to o dei paren­ti e degli ami­ci da cui si sono sepa­ra­te. Nel cam­po abbia­mo cono­sciu­to un’umanità dal­le mil­le sfac­cet­ta­tu­re, con in comu­ne il fat­to che rischia­re la pro­pria vita e quel­la dei pro­pri figli nel deser­to, in mare, con i traf­fi­can­ti di uomi­ni, signi­fi­ca aver avu­to del­le vali­de motivazioni.

 

Ate­ne e i profughi

La cit­tà, un po’ svuo­ta­ta dal­le ferie d’agosto, appa­re al col­las­so per quan­to riguar­da l’accoglienza di migran­ti e rifu­gia­ti: il popo­lo gre­co sta facen­do uno sfor­zo di gene­ro­si­tà non indif­fe­ren­te, ma la situa­zio­ne sem­bra poter pre­ci­pi­ta­re da un gior­no all’altro. Nono­stan­te que­sto ci è capi­ta­to di assi­ste­re a nume­ro­si epi­so­di di empa­tia e di inte­gra­zio­ne. In par­ti­co­la­re un vener­dì sera, in piaz­za Exar­chia, dei ragaz­zi Siria­ni e Afgha­ni, ospi­ta­ti all’interno di case occu­pa­te del­la zona, han­no comin­cia­to a met­te­re su musi­ca e a bal­la­re: nel giro di un’oretta cen­ti­na­ia di uomi­ni e don­ne di tut­te le nazio­na­li­tà, gre­ci com­pre­si, suo­na­va­no e si sca­te­na­va­no al rit­mo di bra­ni medio­rien­ta­li. A mez­za­not­te e mez­za è fini­to tut­to, per non distur­ba­re trop­po gli abi­tan­ti del­la piaz­za. È sta­ta una paren­te­si feli­ce, vela­ta da un otti­mi­smo qua­si sognan­te, in una real­tà in cui è dav­ve­ro com­pli­ca­to non lasciar­si anda­re al pes­si­mi­smo più nero. Vor­rem­mo infi­ne segna­la­re una real­tà di acco­glien­za non uffi­cia­le degna di nota: l’Hotel City Pla­za, chiu­so da lun­go tem­po e occu­pa­to da apri­le, acco­glie 400 per­so­ne, tra cui 180 bam­bi­ni, ed è gesti­to soprat­tut­to da volon­ta­ri gre­ci attra­ver­so rego­le chia­re e pre­ci­se, con la col­la­bo­ra­zio­ne degli ospi­ti per quan­to riguar­da le puli­zie e la cucina.

 

Bre­ve riflessione

Un’esperienza di volon­ta­ria­to del gene­re, è dura ammet­ter­lo, nono­stan­te arric­chi­sca un poco chi la vive, non ser­ve pra­ti­ca­men­te a nul­la se diven­ta una scu­sa per lavar­si la coscien­za e lascia­re che nul­la cam­bi: la nostra uti­li­tà al cam­po si è limi­ta­ta al fat­to di far sen­ti­re lie­ve­men­te meno sole e abban­do­na­te per­so­ne che chie­do­no uni­ca­men­te di esse­re trat­ta­te con la digni­tà che si deve agli esse­ri uma­ni, e for­se nem­me­no a quel­lo. Tra­la­scian­do il fat­to che noi, quan­do voglia­mo, ce ne tor­nia­mo alla nostra vita di pri­vi­le­gia­ti, men­tre loro riman­go­no intrap­po­la­ti nel­la mise­ria del­la loro con­di­zio­ne. I volon­ta­ri sono la fac­cia “acco­glien­te” di un’Europa che tra qual­che deci­na di anni si ver­go­gne­rà di que­sta orri­bi­le pagi­na di sto­ria e, per non esse­re con­si­de­ra­ti una sem­pli­ce mano di ver­ni­ce che copre le brut­tu­re di un muro in rovi­na, non ci resta che lot­ta­re poli­ti­ca­men­te nei nostri rispet­ti­vi pae­si per­ché a que­ste per­so­ne ven­ga­no garan­ti­ti i nostri stes­si dirit­ti, tenen­do pre­sen­te che la loro con­di­zio­ne è fra­gi­lis­si­ma. E no, que­sto non esclu­de di com­bat­te­re allo stes­so tem­po tut­te le altre disu­gua­glian­ze che inqui­na­no la nostra socie­tà.

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