Mille e più giorni non sono bastati: non esiste ancora un modo per chiedere asilo in Unione europea senza sfidare la sorte e la paura, il deserto e il mare. La violenza dei trafficanti. Sono passati tre anni dal naufragio che, al largo di Lampedusa, causò 366 morti e 20 dispersi, e da allora oltre 11.000 persone hanno perso la vita nel Mediterraneo.
3.500 nel 2014.
3.771 nel 2015.
3.498 nel 2016, e siamo all’inizio di ottobre.
Dati che non emozionano, perché le statistiche non emozionano. Eppure sono dieci, undici Alan Kurdi ogni giorno: sue sorelle, suoi fratelli, nonni e genitori.
Il conteggio ha una sua ufficialità, che non può essere che al ribasso, dato che le traversate vengono compiute nella completa illegalità.
Di fronte a questa quotidiana strage che avviene nel più europeo dei mari, per tradizione e cultura, si registra ancora l’inerzia delle istituzioni europee. Un’inerzia che è causa di morte e che continuerà finché non avremo il coraggio di affrontare la questione con l’approccio e il linguaggio dell’accoglienza e dei diritti, rifiutando di giocare sulla difensiva. Una difesa estenuante, che non può durare all’infinito, e che prima o poi crollerà su se stessa e sotto i muri del “migration compact”. Il referendum ungherese ha mancato il quorum di pochissimo, un quorum che avrebbe regalato una enorme vittoria a chi vorrebbe un’Europa sempre più fortezza, con confini sempre più sigillati. Sarebbe bastato un nulla, e ci saremmo ritrovati con quell’Europa lì. E chissà che l’appuntamento non sia solo rimandato.
E’ tempo di cambiare. Bisogna farlo ora. Torniamo a chiedere, perciò, l’apertura di vie d’accesso legali e sicure «sia per i migranti che per i rifugiati (e chiunque lavori sul campo sa che è una distinzione davvero difficile da fare, spesso usata per garantire diritti ad alcuni e discriminare altri). Se non ci interessiamo di come le persone possono esercitare il loro diritto di fare richiesta di protezione internazionale e accettiamo il rischio che muoiano nel tentativo di raggiungere le nostre coste, allora dovremmo giungere alla conclusione che il diritto di asilo in Europa è inesigibile».
E alla conclusione che le morti in mare non sono nient’altro più che una triste eventualità accettata dai nostri governanti.