Succede sempre così: quando ci si butta in una battaglia politica che imbarazza i governanti il primo modo di smontarla è nasconderla e poi subito dopo minimizzarla. «Ma con tutti i problemi che ci sono davvero credete che sia il momento di occuparsi di x?», dove x è una variabile qualsiasi che contiene un argomento che richiede studio, numeri, posizioni nette e soprattutto il dovere di esporsi. Se poi si tratta di un tema con risvolti etici la situazione peggiora: «lo fanno per spaccare la maggioranza», dicono quelli che s’impegnano tutti i giorni tutto il giorno a convincerci che una maggioranza esista davvero.
Se vi capita di sentire qualcuno che vi dice «non è importante» andatevene, perché fuori c’è un Paese invece che è molto più ricettivo di chi è diventato classe “diligente” per meriti di pronità al proprio segretario di partito. Se avete energie da spendere non sprecatele con gli appassitori professionisti di una politica concentrata sulla diluizione dei temi degli altri, scrollandoseli di dosso con un fitta pioggia primaverile.
Nello scorso fine settimana in Italia sono spuntati i banchetti per la raccolta delle firme sulla legalizzazione dell cannabis. Gente di tutte le età s’è messa a infilare tubi di plastica per farne gazebo, stendere bandiere, fermare volantini dal vento e riempire moduli. Niente di virtuale: i nodi del social network erano il mercato rionale di Acerra, l’ingresso della metropolitana a Genova, un’enoteca a Modena, le piazze del mercato come a Ravenna o le vie dello struscio. A ascoltare alcuni pareri sui giornali o l’agenda dei programmi televisivi si direbbe che questi volontari siano degli asociali scollegati dal mondo.
E invece no. A Torino in piazza Castello 516 persone hanno aspettato il loro turno per chiedere che la cannabis non continui a restare nell’oscurità di cui si nutrono le mafie, a Varese in piazza San Giuseppe 300 persone hanno pensato che forse sarebbe il caso di mettersi al passo con il resto del mondo, a Cagliari in 256 hanno voluto smascherare la patetici di un proibizionismo che è un regalo alla criminalità, ad Avellino in 200 si sono presi la briga di metterci nome e cognome e carta d’identità e così via. Quasi 3000 firme in un fine settimana raccolte da un partito che in molti vorrebbero non esistesse. È Possibile, appunto.
Allora forse sarebbe il caso di tornare a dare il giusto peso alle persone. Occuparsi di noi e di loro. Contare, oltre che contarci. Perché alla fine, se qualcuno non bara, i conti tornano.