Sappiamo tutti che il 4 dicembre non ci sarà alcun diluvio universale. E che più che del diluvio si tratterà di Del Rio o di altri che faranno un altro governo di passaggio verso le elezioni ovvero della stessa cosa di prima: un governo Renzi di passaggio con i voti della destra.
Ciò che ha accomunato tutti i governi di passaggio che abbiamo visto in questi anni è però un dato: la scarsissima propensione per intervenire in modo deciso e coraggioso sulle politiche relative all’ambiente, al clima, alla sostenibilità.
Non parliamo di piccole cose, parliamo della rivoluzione che ci vuole, prima che il diluvio arrivi davvero. Sappiamo che negli Usa ha vinto il paladino del negazionismo verso i cambiamenti climatici, sferrando un primo duro colpo sulla strada del rispetto degli storici accordi di Parigi (che hanno messo le fonti fossili dalla parte sbagliata della storia), proprio nei giorni in cui, a Marrakech, si discute di come trasformarli in politiche concrete. A maggior ragione crediamo che sia un’occasione per l’Europa e per l’Italia di intervenire con un progetto rivoluzionario, di prospettive lunghe, capace di rappresentare il futuro e di evitare che sia molto peggiore, sotto ogni punto di vista, rispetto al presente.
Si parla di sovranità e di autonomia energetica, di sostegno alla produzione pulita e diffusa (fino all’autoproduzione), di ricerca scientifica e di mobilitazione a tutti i livelli. Di efficienza, di risparmio, sia nella produzione, sia nel fisco, con la Carbon Tax (a parità di gettito, ovviamente) che in Italia è curiosamente tabù, pur avendo poco petrolio e poche materie prime in generale. Di aumento delle royalties per tutti coloro che estraggono, che in Italia pagano pochissimo rispetto a qualsiasi altro Paese, nonostante l’incidenza sia minima sul prodotto commercializzato (vedi per esempio alla voce acque minerali). Di apertura di nuove sfide, come quella della produzione fatta bene di energia da ciò che c’è già in natura: non solo vento, sole, geotermia, biomasse, ma anche onde del mare, con impatti inconsistenti sugli ecosistemi. E ancora, si parla di “economia circolare” in grado di disegnare un mondo in cui i rifiuti non esistano più, perché esisteranno solo materiali che rientrano nel ciclo produttivo grazie all’innovazione vera, che esiste già e che sta crescendo a vista d’occhio. Di mobilità nuova, che restituisce le città a chi le vive, l’aria a chi la vorrebbe respirare senza paura e tempo di qualità per spostarsi in modo dignitoso e (addirittura!) gradevole. E infine, grazie a ciascuna di queste cose, si parla di lavoro diffuso e stabile e di economia che riparte, scrollandosi di dosso tutti gli errori fossili degli ultimi 30–40 anni.
Per noi sarà la questione più importante, fin dalla legge di bilancio e dal diluvio che non lo era, quello del 4 dicembre. Un argomento del nostro tour RiCostituente, che è appena iniziato.
Giuseppe Civati
Annalisa Corrado