La newsletter di Nessun Paese è un’isola non è sparita. Abbiamo scritto più volte che la cadenza dell’invio non è regolare, e questa ne è la dimostrazione. Non che non siano successe cose, sul fronte migratorio, ma come potete capire raccogliere informazioni, metterle a sistema e scrivere comporta un investimento in tempo ed energie, che non sempre ci sono.
L’EUROPA CHE RESPINGE
Abbiamo parlato, nelle precedenti newsletter, dell’accordo tra Unione Europea e Afghanistan per il rimpatrio (volontario e non volontario) dei cittadini afghani presenti sul territorio dell’Unione. Bene, l’accordo è contenuto in un documento pubblicato sul sito dell’European External Action Service (il servizio diplomatico europeo), e firmato a Kabul il 2 ottobre 2016. Il titolo dell’accordo è «Joint Way Forward on migration issues between Afghanistan and the EU» (Accordo congiunto sulle questioni migratorie tra Afghanistan e Unione Europea) e il suo scopo è affrontare e prevenire le migrazioni irregolari e il rimpatrio dei cittadini afghani cui non siano riconosciuti gli estremi per accedere a forme di protezione internazionale in Europa. Quei cittadini afghani che non dovessero aderire al programma su base volontaria saranno comunque rimpatriati. L’Afghanistan, come noto, è un paese che versa in uno stato che potremmo definire endemico di violenza diffusa: ecco perché, nonostante il testo dica che tutto ciò viene fatto nel rispetto del diritto internazionale, sorgono molti dubbi sulla legittimità di tale accordo (che tra l’altro è stato siglato parallelamente al rinnovo di aiuti economici provenienti dall’UE e destinati all’Afghanistan — che coincidenza).
C’è da stupirsi? No. L’accordo tra Unione Europea e Turchia, infatti, si fonda sulle medesime basi giuridiche, laddove recita che «tutti i nuovi migranti irregolari che hanno compiuto la traversata dalla Turchia alle isole greche a decorrere dal 20 marzo 2016 saranno rimpatriati in Turchia, nel pieno rispetto del diritto dell’UE e internazionale, escludendo pertanto qualsiasi forma di espulsione collettiva. Tutti i migranti saranno protetti in conformità delle pertinenti norme internazionali e nel rispetto del principio di non-refoulement». Come sia possibile respingere tutti nel rispetto del diritto internazionale (che, al contrario, prevede l’obbligo di esaminare ogni singola richiesta d’asilo) resta un mistero o, forse, più semplicemente una vergogna giuridica. E il risultato è che Amnesty, poche settimane fa, ha denunciato nuovamente il respingimento di almeno otto cittadini siriani, quattro dei quali bambini, sicuramente i più colpiti dalla crisi umanitaria (al riguardo è pervenuta una denuncia da parte di Save the Children sulla condizione dei minori nelle isole greche).
L’accordo tra UE e Turchia avrebbe dovuto risolvere tutti i problemi sulla rotta balcanica, ma sappiamo benissimo che non è così. I muri non hanno fatto altro che bloccare le persone laddove non hanno intenzione di rimanere, configurando situazioni sempre più critiche oltre che in Grecia anche in Serbia, dove nei giorni scorsi — a seguito dell’ennesimo sgombero di locali utilizzati dai rifugiati nei pressi della stazione di Belgrado, con deportazioni verso il campo militare di Presevo, al confine con la Macedonia — è stata organizzata una marcia di protesta diretta al confine croato, sotto la pioggia, senza cibo.
COMUNQUE SONO TUTTI POTENZIALI TERRORISTI
Ecco, non è proprio così, anzi. Ben Emmerson, Special Rapporteur per le Nazioni Unite sull’antiterrorismo e i diritti umani ha dichiarato, presentando un apposito studio, che esistono “piccole evidenze” del fatto che l’ISIS e altri gruppi terroristici sfruttino i rifugiati o che i richiedenti asilo siano propensi alla radicalizzazione: «mentre non c’è alcuna evidenza che le migrazioni portino a un aumento dell’attività terroristica, le politiche migratorie restrittive o che violano i diritti umani possono nei fatti creare condizioni favorevoli al terrorismo […] e potrebbero danneggiare lo stato di sicurezza». La tesi è supportata da un argomento principale, secondo il quale la costruzione di muri e di sistemi di respingimento (collettivo) hanno portato movimenti e persone a organizzare “servizi” per passare la frontiera illegalmente, fatto che «può in definitiva andare a beneficio dei terroristi». La conclusione di Emmerson è categorica: «Quel che è chiaro è che politiche che rispettano i diritti umani, la giustizia e la “accountability”, e che manifestano i valori sui quali si fonda la democrazia sono elementi essenziali di efficaci politiche antiterrorismo». Come per la questione dei rimpatri, è sicuramente il caso che la politica faccia i conti con la realtà. In questo caso la risposta porta il nome di “corridoi umanitari”, e cioè vie d’accesso legali e sicure che permettano un esercizio effettivo del diritto d’asilo, senza doversi imbarcare sui gommoni o affidarsi ai “passatori” lungo la rotta balcanica, ambiti in cui — come sostiene Emmerson — risulta molto difficile che ci siano controlli.
E COME FUNZIONA CON I RIMPATRI DALL’ITALIA?
Funziona male, o meglio: non funziona. Stando a un articolo de La Stampa, sono almeno 50mila i cittadini stranieri che si trovano nel limbo amministrativo, ai quali non è stata riconosciuta alcuna forma di protezione ma che, allo stesso tempo, non vengono rimpatriati, sia perché il costo dei rimpatri è elevato, ma soprattutto perché mancano accordi bilaterali con i paesi di origine. L’aspetto assurdo della vicenda è che nel periodo durante il quale hanno aspettato l’esito della propria domanda d’asilo sono stati ospiti del sistema di accoglienza (con tutte le sue lacune), che avrebbe dovuto fornire loro percorsi di inclusione sociale e lavorativa. E allora può darsi che magari abbiano trovato un lavoro, o che lo stiano cercando, ma ricadono comunque nell’illegalità e — in attesa di un rimpatrio che non arriverà mai — si aprono per loro le porte dello sfruttamento e dell’inabissamento nel lavoro nero. Che la normativa vada rivista con un maggiore senso di realtà, magari dando dei permessi temporanei per la ricerca di lavoro, appare più che evidente.
Segnaliamo, infine, che il numero di dinieghi (risposte negative alla domanda di asilo) nel nostro Paese è aumentato del 20% rispetto allo scorso anno, toccando la quota del 60%. Ciò non significa che il 60% dei richiedenti asilo deve essere rimpatriato: attenzione. Tutti i dinieghi vengono sottoposti a ricorso, il che restituisce al “diniegato” lo status di richiedente asilo. Spesso il ricorso termina comunque col riconoscimento di una forma di protezione.
BAD NEWS
La guerra in Yemen, condotta dall’Arabia Saudita cui l’Italia vende armi, non conosce tregua. Il paese è devastato. Nel silenzio dei media italiana (tranne rari ed encomiabili casi), ne parla il New York Times.
4.271 sono le persone morte o disperse quest’anno nel Mediterraneo. Si tratta del numero più elevato che sia mai stato registrato.
GOOD NEWS
Il “party di benvenuto” organizzato dal comitato di zona 8 di Milano per dare il benvenuto a 80 migranti. Che è finito anche sul Washington Post!
La Stampa del 4 novembre riporta un retroscena dalle stanze europee: di fronte al fallimento del piano di relocation (la redistribuzione dei rifugiati da Italia e Grecia verso gli altri paesi), di fronte alla mancanza di volontà politica di comminare sanzioni, di fronte allo svilimento vergognoso del diritto d’asilo operato da alcuni stati, uno strumento per intervenire potrebbe consistere nella sospensione del diritto di voto in Consiglio, attivando l’articolo 7 del trattato sull’UE, che si può applicare in caso di violazione dell’articolo 2, che recita: «L’Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini».
MUST READ
Su Theconversation.com trovate una mappa che ricostruisce le rotte migratorie sulla base di interviste a 500 rifugiati e migranti presenti in Italia, Grecia, Malta e Turchia. Il risultato è assolutamente frammentato e affascinante, per certi versi.
Come alcuni di voi avranno certamente visto, in libreria è arrivato Nessun Paese è un’isola. Ho con me le copie di chi ha partecipato al crowdfunding e ho cominciato la distribuzione “porta a porta”. Gli invii cominceranno a partire da settimana prossima, con tanto di cartoline. Chi fosse a Bologna sabato 19 può ritirare la propria copia all’Estragon, dove si terrà la tappa principale del Tour RiCostituente di Possibile.
Ringrazio tutti coloro che mi stanno invitando per parlare di immigrazione e di accoglienza fatta bene: il risultato sono sempre delle belle serate di discussione e approfondimento. Per contattarmi: nessunpaeseeunisola@gmail.com