Quando fu approvata la legge sulle unioni civili, dicemmo che si trattava di una legge molto deludente. Certamente tardiva, non per colpa del bicameralismo perfetto, con cui il lodo Alfano era andato in porto in venti giorni e la riforma della scuola in un paio di mesi, ma della politica che sul tema mostra tutto il conservatorismo dell’attuale maggioranza. Tra gli aspetti più critici avevamo evidenziato l’eliminazione — avvenuta nell’ultima fase della discussione — della stepchild adoption, cioè della possibilità di adottare il figlio naturale del partner. Una norma minima, a fronte di quella — che sosteniamo — dell’adozione di figli anche da parte delle coppie composte da persone dello stesso sesso.
Fu risposto, come spesso accade, che non si poteva pretendere troppo, mentre a noi sembrava, appunto, che non ci fosse neppure una pretesa, ma solo la proposta di una norma minimale per riconoscere ciò che in realtà accade: che i figli di un partner crescono con l’altro, come in una famiglia, senza che questo sia però riconosciuto dalla legge. Fu risposto anche — alla luce di alcuni limitati precedenti — che ci avrebbe pensato poi la giurisprudenza a riconoscere come figli quelli del partner. In pratica, il legislatore anziché intervenire, come dovrebbe, “sperava” (o forse diceva soltanto di sperare) che la giurisprudenza supplisse alle sue mancanze, come in qualche caso aveva fatto. Senza considerare — o forse senza dire — che diversi giudici avrebbero potuto trovare soluzioni diverse attraverso l’interpretazione di norme che la stepchild adoption del partner dello stesso sesso non riconoscono. Senza tenere in considerazione che la presenza di una legge sulle unioni civili (tra persone dello stesso sesso) che non preveda una norma ad hoc poteva addirittura favorire una interpretazione contraria alla stepchild adoption.
Ora, il caso del Tribunale di Milano mostra proprio come le nostre preoccupazioni fossero legittime. Se poco dopo l’entrata in vigore della legge, un primo intervento del Tribunale di Roma si era posto sulla linea giurisprudenziale volta a consentire la stepchild adoption tra persone dello stesso sesso, adesso i giudici milanesi concludono proprio all’opposto. Come previsto. Questi, infatti, considerano di doversi attenere alle espresse previsioni normative in tema di adozione, che non prevedono il caso dell’adozione del figlio naturale del partner unito civilmente. Anzi la legge Cirinnà — precisa il Tribunale — specifica proprio che “resta ferma” (mai parole furono forse più azzeccate) la vigente disciplina sulle adozioni, che non contempla il caso in questione: quello di due mamme unite civilmente che vivono insieme e insieme alle loro figlie, che a differenza di altre bambine nella loro stessa situazione non possono essere sorelle. La legge non lo consente. A volte, forse, un giudice sì. Ma non in questo caso, ad esempio, e in molti altri.