Dove possa arrivare l’arroganza del potere sorprende ogni volta. Abbiamo assistito a una campagna elettorale pessima, giocata con i mezzi più bassi, addirittura facendo leva sulla malattia, e promettendo cure uguali in tutto il Paese, qualora fosse passata la riforma costituzionale.
«Oggi non c’è lo stesso diritto per ciascun cittadino, di qualunque regione, di accedere allo stesso tipo di cure, per esempio in termini di malattie molto gravi, come il tumore, o i vaccini. Se passa la riforma invece avremo il dovere, l’esigenza, che ci sia lo stesso tipo di diritti e quindi di servizi per i cittadini a prescindere dalla regione dove vivono».
Toccato il fondo, a scavare ci hanno pensato le pagine buongiorniste su Facebook, pubblicando osceni proclami:
Ovviamente si tratta di una speculazione di dimensioni cosmiche, dato che la Costituzione attuale individua già la «salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività», garantendo «cure gratuite agli indigenti», oltre che attraverso la «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale».
Per applicare quanto scritto in Costituzione non serve riformala, ma servono perlopiù risorse. Quelle stesse risorse (50 milioni di euro) destinate alla sanità tarantina — in virtù della situazione particolarmente grave e delicata in cui versa la zona, epicentro del conflitto tra ambiente e lavoro -, già assegnate, e tolte dalla Commissione Bilancio della Camera. A seguito delle polemiche sulle responsabilità dell’emendamento, il presidente del Consiglio Matteo Renzi garantì che tutto sarebbe stato corretto al Senato.
Scopriamo ora che era tutta una grossa messa in scena, e che quei 50 milioni non torneranno alla sanità tarantina. Matteo Renzi, infatti, mosso da un altissimo senso delle istituzioni (si fa per dire), ha annunciato le proprie dimissioni domenica notte, mentre si delineava la clamorosa bocciatura della riforma costituzionale. La palla è passata di conseguenza al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, il quale ha “congelato” le dimissioni, con un occhio anche alla legge di Bilancio.
Ecco così che la legge di Bilancio è arrivata al Senato in tempo record, ed ecco che il bicameralismo perfetto non è più un problema per i tempi di approvazione, perché il governo dimissionario ha posto la fiducia (un controsenso incredibile).
Ed ecco che non ci sarà nessun “ping-pong”, perché nulla verrà toccato nel testo di legge.
Ed ecco che le necessità e le priorità della politica (e dei politici, soprattutto) passano sopra (“asfaltano”, direbbe qualcuno) a parole, promesse e risorse, necessità e priorità dei cittadini.
Il problema, ancora una volta, è la politica che discute di politica e fa le cose male, guarda a se stessa e si ripiega su se stessa e sui suoi protagonisti, non la Costituzione.
Il prossimo governo, chiunque ne sia a capo, cominci da Taranto. Per una questione di decenza.