Nessun Paese è un’isola — Più muri per tutti

Torniamo a parlare di migrazioni e accoglienza, ripartendo da uno dei più potenti elementi dal punto di vista simbolico, ma anche politico, e cioè i confini, e in particolare la loro gestione, cosa che i governi europei fanno sempre con maggiore attenzione, non limitandosi ai propri.

Dopo un bre­ve silen­zio (che potrem­mo defi­ni­re “elet­to­ra­le”), tor­nia­mo a par­la­re di migra­zio­ni e acco­glien­za, ripar­ten­do da uno dei più poten­ti ele­men­ti dal pun­to di vista sim­bo­li­co, ma anche poli­ti­co, e cioè i con­fi­ni, e in par­ti­co­la­re la loro gestio­ne, cosa che i gover­ni euro­pei fan­no sem­pre con mag­gio­re atten­zio­ne, non limi­tan­do­si ai pro­pri. Inter­na­zio­na­le di que­sta set­ti­ma­na ripor­ta, infat­ti, un arti­co­lo di Die Zeit (Ger­ma­nia) che rac­con­ta le poli­ti­che pro­mos­se dal­la Ger­ma­nia in nord Afri­ca, dove vie­ne adde­stra­ta la poli­zia di fron­tie­ra al fine di ele­va­re gli stan­dard di sor­ve­glian­za dei con­fi­ni, e quin­di un mag­gio­re con­trol­lo (si leg­ga: il bloc­co) sui migranti.

Muri nel mon­do, Cor­rie­re, set­tem­bre 2015

Nel 2016 la poli­zia tede­sca ha orga­niz­za­to oltre ses­san­ta mis­sio­ni di adde­stra­men­to in Tuni­sia, ha invia­to mate­ria­le, ha rice­vu­to guar­die di fron­tie­ra tuni­si­ne, soste­nu­te con milio­ni di euro anche da Fran­cia, Regno Uni­to e Ita­lia. La Tuni­sia gode di un’attenzione par­ti­co­la­re da par­te di Ange­la Mer­kel, la qua­le, set­ti­ma­ne fa, dis­se di voler repli­ca­re con que­sto pae­se l’accordo vigen­te tra UE e Tur­chia. Ovvia­men­te l’accordo deve pre­ve­de­re una con­tro­par­ti­ta, pare mone­ta­ria, dato che un pae­se come la Tuni­sia non dovreb­be ave­re alcun inte­res­se nel gesti­re miglia­ia di poten­zia­li rifu­gia­ti. E infat­ti, scri­ve Inter­na­zio­na­le, «a metà otto­bre i capi di sta­to e di gover­no dell’Unione euro­pea […] han­no sta­bi­li­to che i pae­si afri­ca­ni che si impe­gna­no a riac­co­glie­re i pro­fu­ghi e a raf­for­za­re la sor­ve­glian­za dei loro con­fi­ni dovreb­be­ro rice­ve­re mag­gio­ri aiu­ti allo svi­lup­po». La fac­cen­da ha anche un altro risvol­to eco­no­mi­co, per­ché la sor­ve­glian­za dei con­fi­ni (soprat­tut­to di con­fi­ni este­si e asso­lu­ta­men­te per­mea­bi­li) richie­de ingen­ti inve­sti­men­ti, tra­sfor­man­do tut­to ciò in «flo­ri­di mer­ca­ti per le azien­de che pro­du­co­no quel­lo che qui anco­ra man­ca: recin­zio­ni, siste­mi radar, siste­mi di rico­no­sci­men­to bio­me­tri­co per il con­trol­lo dei visti». E chis­sà che discus­sio­ni sul con­trol­lo del­le fron­tie­re non sia­no sta­te ogget­to anche dell’incontro, avve­nu­to pochi gior­ni fa, tra Il pre­si­den­te eri­treo, Isa­ias Afewer­ki e il pre­si­den­te egi­zia­no, Abdel Fatah al Sisi, due pae­si asso­lu­ta­men­te stra­te­gi­ci, in quan­to pae­si di fuga e di tran­si­to (e ricor­dia­mo che ad Ange­la Mer­kel non dispia­ce­reb­be appli­ca­re anche all’Egitto il mede­si­mo accor­do di cui sopra). Le agen­zie stam­pa han­no par­la­to del comu­ne obiet­ti­vo di «svi­lup­pa­re le rela­zio­ni tra i due pae­si e i rap­por­ti bila­te­ra­li, oltre e lega­re gli sfor­zi comu­ni sul­le que­stio­ni di impor­tan­za comu­ne».

Sem­pre Inter­na­zio­na­le (lo tro­va­te in edi­co­la, fino a gio­ve­dì) rac­con­ta la sto­ria del filo spi­na­to, che va abba­stan­za di pari pas­so con la sto­ria dei con­fi­ni, dato che da quan­do c’è il filo spi­na­to è mol­to più sem­pli­ce trac­ciar­ne: «mai pri­ma d’ora aree così ampie del pia­ne­ta sono sta­te chiu­se. Mai pri­ma d’ora una por­zio­ne così gran­de del glo­bo è sta­ta sud­di­vi­sa a que­sti livel­li. Oggi Cina e India domi­na­no il mer­ca­to mon­dia­le del filo spi­na­to, per un tota­le di 500mila ton­nel­la­te di mate­ria­le all’anno. E’ l’equivalente di set­te milio­ni e mez­zo di chi­lo­me­tri di filo spi­na­to, abba­stan­za per fare due­cen­to vol­te il giro del­la Ter­ra».

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MA UN’ALTERNATIVA C’E’

E se abbia­mo par­la­to più vol­te dei cana­li uma­ni­ta­ri come di una solu­zio­ne per evi­ta­re tra­ver­sa­te del­la mor­te nel­le mani di cri­mi­na­li, esi­ste anche un’alternativa al rim­pa­trio for­za­to, e si chia­ma rim­pa­trio volon­ta­rio. Stia­mo par­lan­do sicu­ra­men­te di un argo­men­to mol­to deli­ca­to, dato che il con­fi­ne tra “for­za­to” e “volon­ta­rio” può esse­re dav­ve­ro mol­to labi­le e vio­la­bi­le facil­men­te, però esi­sto­no comun­que buo­ne espe­rien­ze, che dan­no vita alle cosid­det­te “migra­zio­ni cir­co­la­ri”, secon­do le qua­li un migran­te al qua­le ven­ga pro­po­sto di tor­na­re in patria con un baga­glio di com­pe­ten­ze pro­fes­sio­na­liz­zan­ti potreb­be con­si­de­ra­re non fal­li­to il pro­prio pro­get­to migra­to­rio (che vero­si­mil­men­te con­si­ste­va nel tro­var­si un lavo­ro in Euro­pa e invia­re rimes­se), spen­den­do nel­la pro­pria ter­ra d’origine quan­to ha appre­so in Euro­pa. Lavoce.info ha pro­va­to a fare qual­che con­to: «dal 2000 al 2015 i pae­sieuro­pei (28 mem­bri Ue più Nor­ve­gia, Sviz­ze­ra e Islan­da) han­no spe­so com­ples­si­va­men­te 11,3 miliar­di di euro per il rim­pa­trio dei migran­ti irre­go­la­ri e 1,6 miliar­di per raf­for­za­re i con­trol­li alle fron­tie­re: spe­se di tra­spor­to, mez­zi nava­li per il pat­tu­glia­men­to del­le coste, stru­men­ti di visio­ne not­tur­na e adde­stra­men­to uomi­ni. Media­men­te, ogni espul­sio­ne costa cir­ca 4mila euro. Una cifra simi­le vie­ne paga­ta dai migran­ti ai traf­fi­can­ti, quan­ti­fi­ca­bi­le per lo stes­so perio­do in 15,7 miliar­di, sen­za con­ta­re i costi socia­li e l’altissimo rischio dei viag­gi». A fron­te di que­sto enor­me flus­so di risor­se, i rim­pa­tri volon­ta­ri sono sta­ti sola­men­te 3.700 dal 2009 al 2015. Inve­sti­re in poli­ti­che serie di rim­pa­trio volon­ta­rio potreb­be sicu­ra­men­te esse­re un’alternativa vali­da al raf­for­za­men­to dei con­fi­ni e ai rim­pa­tri forzati.

A pro­po­si­to di cana­li uma­ni­ta­ri, ne vedre­mo atti­va­to pre­sto un altro, sem­pre in via spe­ri­men­ta­le, sem­pre con il con­tri­bu­to di orga­niz­za­zio­ni ter­ze, e cioè Comu­ni­tà di Sant’Egidio, Migran­tes e Cari­tas. Sul­la base del pro­to­col­lo già sot­to­scrit­to con il gover­no e ine­ren­te al Liba­no, ver­rà sot­to­scrit­to un nuo­vo pro­to­col­lo per l’Etiopia, con l’obiettivo di por­ta­re in manie­ra lega­le e sicu­ra in Euro­pa alme­no 500 persone.

 

MUST READ

“Quel­lo che mi ha col­pi­to di più è che ave­va cuci­to all’interno del maglio­ne un pic­co­lo sac­chet­to”, rac­con­ta Cat­ta­neo men­tre si spo­sta un ric­cio bion­do dal­la fron­te e fa una pau­sa per pren­de­re fia­to. “Io sono abi­tua­ta a fare autop­sie per i tri­bu­na­li e ho pen­sa­to subi­to che si trat­tas­se di dro­ga o di qual­co­sa di pre­zio­so. E inve­ce era un sac­chet­to di pla­sti­ca con den­tro una man­cia­ta di ter­ra”, L’Italia fa scuo­la nell’identificazione dei migran­ti mor­ti nel Medi­ter­ra­neo, di Anna­li­sa Camilli.

 

GOOD NEWS

«Acco­glien­za e for­ma­zio­ne lavo­ra­ti­va, bino­mio che può fun­zio­na­re. Quel­lo che è avve­nu­to in un cam­po alle por­te di Cave­na­go Brian­za, a nord-est di Mila­no, lo con­fer­ma: 30 richie­den­ti asi­lo, in atte­sa di sape­re se la loro doman­da venis­se accol­ta o meno, han­no pri­ma recu­pe­ra­to poi col­ti­va­to a ortag­gi in agri­col­tu­ra bio­lo­gi­ca un ter­re­no incol­to, accom­pa­gna­ti dagli enti gesto­ri del per­cor­so di acco­glien­za – riu­ni­ti in una rete ter­ri­to­ria­le, Rti Bon­ve­na – dal­la Scuo­la agra­ria del vici­no Par­co di Mon­za e da altri sog­get­ti del pri­va­to socia­le loca­le, come la coo­pe­ra­ti­va socia­le Il Cedro, che si occu­pa di giar­di­nag­gio», Ben­ve­nu­ti a Cave­na­go, dove i richie­den­ti asi­lo dan­no nuo­va vita ai cam­pi incol­ti, di Danie­le Biella.

L’amministrazione comu­na­le di Roma ha spe­so la pro­pria paro­la pro­met­ten­do che «acco­glie­rà deci­ne di per­so­ne che al momen­to sono costret­te a dor­mi­re all’addiaccio». Roma fa un pri­mo pas­so ver­so l’accoglienza dei migran­ti, di Anna­li­sa Camilli.

 

BAD NEWS

Che la chiu­su­ra dei con­fi­ni non sia la solu­zio­ne ma che, anzi, rischi di aggra­va­re la con­di­zio­ne di quel­le per­so­ne che i con­fi­ni voglio­no supe­rar­li (e spes­so par­lia­mo di per­so­ne del tut­to indi­fe­se sot­to­po­ste a ricat­ti inac­cet­ta­bi­li), è risa­pu­to. E’ risa­pu­to che la chiu­su­ra dei con­fi­ni fac­cia del­le vit­ti­me e che le fac­cia, pur­trop­po, anche nel nostro pae­se. Sono mor­te cer­can­do di sali­re su un tre­no al Bren­ne­ro, due set­ti­ma­ne fa, un mino­ren­ne eri­treo e una gio­va­ne don­na di cui non si cono­sce la nazionalità.

 

La cam­pa­gna di pre­sen­ta­zio­ne di Nes­sun pae­se è un’isola ha ripre­so a maci­na­re chi­lo­me­tri. Tut­ti i libri sono sta­ti invia­ti, e se ieri sono sta­to a Lona­te Poz­zo­lo per spie­ga­re come l’accoglienza può esse­re un fat­to­re posi­ti­vo per tut­ti, set­ti­ma­na pros­si­ma sarò a Fagna­no Olo­na (Vare­se), per la pre­ci­sio­ne mer­co­le­dì 14 dicem­bre, alle 21.

Per qual­sia­si cosa (com­pre­se tap­pe del­la cam­pa­gna), l’indirizzo al qua­le scri­ve­re è nessunpaeseeunisola@gmail.com.

Per iscri­ver­si (e far iscri­ve­re i pro­pri ami­ci) alla new­slet­ter, inve­ce, qui: https://goo.gl/forms/XTHQpl4ljDNqMSh03

A pre­sto,

ste­fa­no

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Pre­pa­ra­te lo SPID! Sarà una cam­pa­gna bre­vis­si­ma, dif­fi­ci­le, per cui ser­vi­rà tut­to il vostro aiu­to. Ma si può fare. Ed è giu­sto provarci.

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La prio­ri­tà deve esse­re met­te­re al sicu­ro le per­so­ne e non può esse­re mes­sa in discus­sio­ne da rim­pal­li tra pae­si euro­pei. Il dirit­to d’asilo è un dirit­to che in nes­sun caso può esse­re sot­to­po­sto a “vin­co­li quan­ti­ta­ti­vi”. Ser­vo­no cor­ri­doi uma­ni­ta­ri, e cioè vie d’accesso sicu­re, lega­li, tra­spa­ren­ti attra­ver­so cui eva­cua­re più per­so­ne possibili. 

I padroni dicono di no a tutto. E per questo scioperiamo.

La stra­te­gia del capi­ta­li­smo è quel­la di ato­miz­za­re le riven­di­ca­zio­ni, met­ter­ci gli uni con­tro gli altri, indi­vi­dua­re un nemi­co invi­si­bi­le su cui svia­re l’attenzione, sosti­tui­re la lot­ta col­let­ti­va con tan­te lot­te indi­vi­dua­li che, pro­prio per que­sto, sono più debo­li e più faci­li da met­te­re a tacere.
Ma la gran­de par­te­ci­pa­zio­ne allo scio­pe­ro del 13 dicem­bre dimo­stra che la dimen­sio­ne col­let­ti­va del­la nostra lot­ta, del­le nostre riven­di­ca­zio­ni, non è perduta.