Ci siamo: a breve (domani, mercoledì) sapremo l’esito del giudizio della Corte costituzionale in merito all’ammissibilità dei referendum presentati dalla CGIL sulla disciplina dei licenziamenti, dei voucher e della responsabilità solidale in materia di appalti.
I riflettori sono puntati soprattutto sul primo quesito, quello politicamente più delicato, in quanto relativo all’articolo 18, per anni nel mirino della destra e poi colpito da un governo guidato dal segretario del Pd.
Il problema è che, mentre il referendum proposto da Possibile nel 2015 era concentrato nel colpire le modifiche apportate dal Jobs Act, assicurando l’omogeneità del quesito, la assenza di manipolatività e pure una normativa residua direttamente applicabile (naturalmente più garantista di quella vigente), quello proposto dalla CGIL quest’anno intende colpire anche altre norme dell’articolo 18 (soprattutto per come modificate dalla legge Fornero nel 2012).
L’intervento, in sostanza, riporta maggiori tutele rispetto alle modifiche realizzatesi negli ultimi anni e in alcuni casi va anche oltre, rischiando forse qualche problema nell’applicazione laddove abbatte da quindici a cinque dipendenti la soglia di rilevanza della disciplina. Tuttavia, per arrivare a questo risultato, il quesito mette insieme l’abrogazione di norme differenti, che non sempre sembrano facilmente riconducibili a una matrice razionalmente unitaria (salvo non volerla identificare in una generica “maggiore tutela nei confronti dei licenziamenti), rendendo incerta l’omogeneità del quesito che è condizione di ammissibilità. D’altra parte qualche incertezza si ha anche in ordine alla possibile manipolatività del quesito che lo rende inammissibile quando cerca di sostituire alla disciplina vigente un’altra attraverso ritagli di parole che portano all’unione di parti del testo appartenenti a un diverso contesto normativo, essendo valutato per questo inammissibile.