Le immagini che arrivano da Belgrado, capitale della Serbia, hanno ricordato a molti i più bui periodi del novecento. Decine, centinaia di persone in fila, sotto la neve, strette nelle coperte, per ricevere una porzione di cibo. Le stesse persone che, in mezzo alla stessa neve, si scaldano attorno a un fuoco improvvisato, e si lavano stando all’interno di un bidone di lamiera.
Hanno trovato rifugio in un edificio abbandonato, esattamente alle spalle della principale stazione ferroviaria della città. Si parla di addirittura duemila persone solo a Belgrado, e di circa diecimila in tutta la Serbia, metà delle quali non hanno una sistemazione adeguata per affrontare le rigide temperature. Che sia Belgrado, che siano i campi informali al confine nord — quello che si appoggia sull’Unione europea.
Queste immagini e le notizie dei primi morti per il freddo hanno smosso alcune coscienze, ma non tutte. Il ministro dell’Interno tedesco, Thomas de Maiziere, ha commentato il calo delle richieste d’asilo in Germania dicendo «che le misure predisposte dal governo tedesco e dall’Unione europea stanno funzionando. Siamo riusciti a gestire e controllare il fenomeno delle migrazioni». Nel frattempo, Viktor Orban, presidente di quell’Ungheria che rimane la porta d’accesso all’UE per molti migranti intrappolati in Serbia, annuncia che metterà in detenzione tutti i migranti che supereranno la frontiera, anche coloro che faranno domanda d’asilo, con l’evidente obiettivo di scoraggiare le partenze.
Da una parte la responsabilità, dall’altra parte il populismo, che si strizzano l’occhio col medesimo fine: bloccare le rotte migratorie, innalzare muri, stringere accordi di sicurezza per sigillare i confini. Lasciarlì lì, dove sono, purché lontano dalla vista, lontano dalle nostre «tiepide case», direbbe qualcuno.
Che la situazione lungo la rotta balcanica, dalla Grecia alla Serbia, avrebbe toccato queste punte di disumanità lo sapevano tutti, o perlomeno tutti coloro che già quest’estate hanno cominciato a preoccuparsi del sovraffollamento dei campi in Grecia e del via vai che si era creato in Serbia, con persone bloccate al confine, le quali cercavano allora di passare illegalmente e, se respinte, tornavano a Belgrado o si ammassavano nei campi. E ritentavano il passaggio. In quello stesso edificio di Belgrado, già questa estate decine, centinaia di migranti trovavano rifugio, così come nei parchi e nei parcheggi adiacenti. Ne avevamo scritto, così come avevamo scritto del freddo che una notte assalì la città, all’improvviso.
Ora il freddo è reale. In questi giorni le temperature hanno raramente superato lo zero, toccando i ‑20°C di notte. Cercherò di raccontare anche questa volta, come feci ad agosto, dato che domani, mercoledì, partirò per Belgrado per effettuare un sopralluogo con l’associazione “Speranza — Hope for children” (che potete sostenere con una donazione), per verificare quali sono le necessità più urgenti e quindi permettere una pianificazione più puntuale degli aiuti che verranno forniti.
Ne scriverò su Possibile.com e cercherò di trasmettere aggiornamenti più in tempo reale attraverso il mio canale Twitter.