I precedenti appuntamenti della rubrica green#PrimaDelDiluvio — per costruire una proposta di governo compatibile con il rispetto dell’ambiente — sono disponibili qui.
Che fine ha fatto il green act? Il 2 gennaio del 2015, 746 (settecentoquarantasei) giorni fa, l’ex premier Matteo Renzi annunciò alla sua maniera (un tweet) l’imminente emanazione di un green act, un provvedimento che avrebbe dovuto – così sembrava – riunire in sé tutte le norme volte a favorire, promuovere, lanciare la green economy in tutte le sue potenzialità di difesa dell’ambiente e di sviluppo sostenibile anche per creare nuovi posti di lavoro.
In quel tweet in verità Renzi prometteva di intervenire anche sulla Costituzione, la legge elettorale, la pubblica amministrazione, la scuola, la Rai, il fisco.
Un ben di Dio! E in effetti… Ma si sono scordati il green.
Di quel provvedimento si sono perse le tracce, poi è riapparso nell’ultimo DEF approvato nell’autunno scorso in cui se ne prevedeva l’approvazione “entro il 2017” (sic!).
Il green act in realtà è diventata un’araba fenice, ottima per citazioni nei convegni, utilissima per poter dire di fronte alle richieste degli ambientalisti: “certo, avete ragione: lo inseriremo nel green act”. Nel frattempo però non si faceva (quasi) nulla.
A parte l’ottima legge sui reati ambientali e la positiva riforma delle agenzie ambientali (entrambe peraltro iniziative parlamentari) il silenzio governativo sulle questioni ambientali è stato assordante e interrotto spesso solo per aggredirlo. Con la semplificazione che promuoveva le trivellazioni nel famigerato sblocca-italia; la promozione degli inceneritori con i decreto del Ministero dell’Ambiente dell’ottobre scorso che ne prevede ben 8 di nuovi per 1.800.000 tonnellate/anno di rifiuti che potrebbero invece essere virtuosamente avviati a riciclaggio e recupero; per provare a frenare le rinnovabili (con lo spalmaincentivi del 2014 con cui “esordì” Renzi nel settore e le controriforme tariffarie dello scorso anno che scoraggiano l’autoproduzione). E se non c’è stata aggressione come in questi casi ha trionfato il rinvio e la “distrazione” .
Persino provvedimenti che avevano avuto il via nella scorsa legislatura sono rimasti lettera morta. Così di consumo di suolo se ne può fare un gran parlare ma il relativo disegno di legge viene stoppato dalla lobby contraria a qualsiasi limitazione, mentre negli ultimi 3 anni abbiamo perso 720 km quadrati (la superficie di Milano, Firenze, Bologna, Napoli e Palermo!), il 7,3% del nostro territorio, a una velocità “mangia suolo” di 8 mq/secondo, inghiottito da nuovi edifici, strade e parcheggi. C’era una delega fiscale approvata dal Parlamento nel 2014: il Governo come è noto ha saputo esercitarla per ciò che gli interessava ma non nella parte in cui si proponeva una carbon tax e l’ha lasciata scadere. E così si è persa l’occasione di “introdurre nuove forme di fiscalità finalizzate a orientare il mercato verso modi di consumo e produzione sostenibili, e a rivedere la disciplina delle accise sui prodotti energetici e sull’energia elettrica, anche in funzione del contenuto di carbonio e delle emissioni inquinanti”: così recitava la legge delega, che indicava anche nella “riduzione della tassazione sui redditi, in particolare sul lavoro generato dalla green economy, alla diffusione dei prodotti a basso contenuto di carbonio e al finanziamento dei modelli di produzione e di consumo sostenibili” la destinazione del maggior gettito. Insomma c’era già (quasi) tutto in quella norma se la si fosse voluta realizzare per davvero.
E invece no. Niente. Come niente si è fatto di concreto per la rigenerazione urbana nelle periferie o per sbloccare finalmente le bonifiche attese da tanti cittadini costretti a vivere accanto a luoghi contaminati e dallo stesso sistema delle imprese.
E davvero troppo poco sono i finanziamenti, seppur molto benvenuti, di ciclovie come il GRAB (Grande Raccordo Anulare delle Bici di Roma), VenTo (tra Venezia e Torino), o quella pugliese, per potere dire che si siano mossi positivamente su una nuova mobilità sostenibile visto anche lo stato disastrato in cui continuano a versare i trasporti pubblici locali.
Francesco Ferrante